Il 1° giugno è stata la Giornata Mondiale dei Genitori, una giornata designata nel 2012 dall’ONU per valorizzare il ruolo delle mamme e dei papà di tutto il mondo.

Una bella famiglia non nasce per caso. In tempi durissimi come questi in cui la morte della famiglia è già stata decretata infinite volte, la stessa rinasce dalle sue ceneri, più forte di prima, consapevole di risultare indispensabile per la vita dell’uomo e della società.

Considerata infatti la cellula primaria della società, la famiglia è garante della continuità biologica della specie.

Nel libro di Roberto Volpi, “La fine della famiglia – la rivoluzione di cui non ci siamo accorti“, 2007, edito da Mondadori, troviamo la storia tutta italiana della decadenza e nella rinascita della famiglia, a partire dagli anni del dopoguerra.

Più famiglie, meno figli

In Italia, il numero delle famiglie aumenta costantemente nel tempo: le famiglie corrono a una velocità di circa sette volte quella della popolazione e, contemporaneamente la famiglia è ferma, immobile, come morta: è una fase di passaggio, trasformazione, trasfigurazione, quasi una resurrezione.

Per “famiglia” oggi si deve intendere una pluralità di configurazioni familiari, così come è mutevole e variegata la realtà che ci circonda.

Di certo manca una visione d’insieme della famiglia. Una famiglia che non è più la stessa dopo la legge sul divorzio del 1970 e successivo referendum abrogativo del 1974.

Nel giro di vent’anni, si è dimezzato il numero medio di figli per donna, riducendola a quasi un figlio solo; prima c’erano molti bambini, ora ce ne sono pochissimi, meno che in ogni parte del mondo.

Prima c’erano i  fratelli, ora c’è il figlio unico e anche i cugini vanno sparendo. Prima c’erano pochi vecchi e tanti bambini, ora è il contrario. Prima si sentivano le grida dei bambini sotto casa, e oggi, purtroppo, non si vedono più bambini in giro. Se questa non è un rivoluzione, che cos’è?

Dalla legge sul divorzio a quella sull’aborto

L’anno della svolta è stato il 1975, perché? Perché le leggi sul divorzio e sull’aborto hanno determinato una vera e propria rivoluzione nel costume, nella mentalità e nel modo di essere degli italiani.

Soprattutto la legge sul divorzio rappresenta uno spartiacque. Infatti, questa legge che sembra occuparsi d’altro, in verità impatta in modo determinante sul comportamento riproduttivo.

Con essa sono aumentati in modo sempre crescente i matrimoni civili, che prima dell’introduzione della legislazione sul divorzio, non avevano corso in Italia.

Anche la spinta verso la denatalità può essere stata operata dalla stessa legge, sia pure in forma meno diretta ed esplicita. Ma soprattutto la vittoria del no al referendum abrogativo non solo confermò la legge ma le diede più forza, contribuendo in modo decisivo al cambiamento di:

– atteggiamenti culturali

– schemi mentali

– posizioni ideologiche su matrimonio, famiglia, figli, istituzioni

e sulle relazioni tra tutti questi elementi fondanti della società.

L’anno di svolta del cambiamento è stato il 1975, l’anno della battaglia contro il cuore della tradizione: famiglia e comportamenti riproduttivi. Ricordo la determinazione a voltare pagina nelle parole di qualcuno che sentenziava ( con una certa aria di superiorità): “Perbacco, non siamo mica conigli!”

Natalità ed errori di prospettiva

Per fare approvare la legge sull’aborto di cui erano convinti sostenitori, i radicali spararono letteralmente cifre tanto catastrofiche quanto improbabili: 2 milioni di aborti all’anno! Ovviamente clandestini…

Ma, al massimo potevano essere 350.000 aborti tra legali e clandestini, massima cifra concepibile nell’Italia degli inizi anni ’80, quando l’Istat cominciò allora la rilevazione delle interruzioni volontarie di gravidanza e si raggiunsero le cifre più alte del fenomeno nella sua quota legale.

Sulla scia di quanto avvenuto in America con la causa Roe vs Wade (il relativo articolo qui), in Italia, per mezzo di mistificazione e imbrogli sui dati numerici, la realtà venne alterata e distorta per manipolare e condizionare il giudizio della gente, per far approvare la legge 194.

Il sostanziale stabilizzarsi nel tempo sulle 130-140 mila IVG annue ha chiarito, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’aborto non possedeva nel nostro paese quelle dimensioni di così ampia diffusione e quel carattere endemico che si supponeva.

Primo errore di prospettiva: gli italiani erano convinti di fare ancora tanti figli, a parole dichiaravano di volerne 2 o 3 e poi non li facevano. In verità, gli italiani erano diventati il paese con il minor numero di figli al mondo!

Secondo errore di prospettiva: gli italiani ritenevano che la questione dei figli fosse una faccenda strettamente privata senza considerare l’impatto della denatalità su sfere pubbliche, su dinamiche sociali ed economiche.

Cambiato il valore antropologico della famiglia

Nonostante tutto, la famiglia fondata su genitori e figli non è mai stata messa in discussione nella fase discendente delle nascite in tutti i paesi occidentali a partire dalla metà del Settecento e poi pienamente in atto dagli inizi dell’Ottocento.

Dal punto di vista delle caratteristiche della famiglia però molto è cambiato. Mentre prima la coppia si costituiva in famiglia intorno al figlio e il suo compito principale era l’allevamento e l’educazione della prole, che ne rappresentava comunque l’essenza, oggi si fa famiglia anche senza figli, qualcuno li vuole ancora, ma tanti no. Una coppia senza figli si percepisce come una famiglia ugualmente. Quello che si pensa è che la qualità della coppia non sta nell’avere dei figli.

Stare bene in coppia fa famiglia di per sé. Una famiglia numerosa dove le relazioni sono tossiche, si pensa che lì non ci sia famiglia.

La nostra è infatti una società che non riconosce un merito particolare alla famiglia con figli, anzi, premia chi non ha figli! Siamo al teatro dell’assurdo per cui avere figli sembra far perdere prestigio agli occhi degli altri.

Quello che si percepisce dei figli è l’aspetto di pericolo: possono delinquere, drogarsi, finire male: i figli sono notati e annotati nel male e nel rischio.

Non si coglie affatto l’aspetto profondamente arricchente di pienezza del rapporto umano e dell’impatto di crescita e di gratificazione sulla personalità del genitore.

Aumentano nel tempo le famiglie costituite da un solo genitore (2  milioni) e le madri sole, non vedove sono aumentate del 78 % (1 milione). Le famiglie ricostituite (1 milione). Negli ultimi dieci anni, le coppie con figli sono diminuite del – 7,8 % e sono aumentate le coppie non coniugate con figli. Sono aumentate le unioni libere, anche con figli (2,5 milioni). Un matrimonio su tre si conclude con una separazione (37,3 %).

Emergenza sociale e culturale: la fatica di creare il NOI

Perché si rimanda sempre più in là negli anni la formazione di coppia, famiglia e figli? Per un lungo insieme di ragioni:

– i giovani stanno bene così, in famiglia o da soli

– preferiscono il certo di oggi all’incerto del domani in quanto coppia

– temono di perdere le loro recenti conquiste: lavoro, libertà di movimento e l’investimento che esse richiedono

– hanno “paura” di famiglia e figli e di tutto ciò che essi comportano, sentiti come troppo impegnativi con troppi sacrifici e senza garanzia di risultato.

Ora, pensare che la famiglia implichi anche un restringimento di orizzonti, un impoverimento della personalità è segno di un’immaturità di fondo.

Sempre più spesso infatti si giunge a decidere di fare il grande passo di mettere in piedi una propria famiglia tra i 40 e i 50 anni. Ciò vale per gli uomini ma le donne hanno un orologio biologico che non possono trascurare, se vogliono fare figli in modo naturale.

Dietro c’è anche un problema valoriale che riflette un quadro culturale della società di oggi che non sostiene più la famiglia.

La famiglia di origine

Che tipo di famiglia c’è dietro questi giovani? Da dove nasce tanta paura della famiglia e procrastinazione della sua costituzione?

Si tratta di famiglie in cui manca un po’ di sano conflitto tra padri e figli. Famiglie con sempre più figli unici che dettano legge e a cui non si pretende null’altro che non cacciarsi nei guai. Genitori che risparmiano ai figli ogni minima fatica!

Un terzo dei nostri giovani a 34 anni è ancora a casa e i genitori non osano “congedarli”, cioè farli crescere per imparare a vivere, a stare in piedi sulle proprie gambe. “Prìncipi” fuori ma fragili dentro, insicuri e pretenziosi.

Come mai i genitori sono così deboli verso i propri figli da non essere capaci di pretendere un’assunzione di responsabilità da parte loro? Massimo Recalcati risponde che i genitori di oggi temono di perdere l’amore dei figli.

Un tempo era il contrario, i figli potevano temere di non essere all’altezza dei desiderata dei genitori. Oggi i genitori si caricano sulle spalle le responsabilità dei figli, risparmiano per loro, li viziano, non facendo loro mai mancare nulla.

E così, forse un giorno il figlio se ne andrà, solo dopo che i genitori gli avranno anche comprato casa…

La medicalizzazione della maternità

Oggi, tutto ciò che ha a che fare con la nascita, l’educazione, la cura dei figli è visto come un compito estremamente pesante e problematico. Fare un figlio è un’impresa! Diventare mamma non è più qualcosa di naturale. La medicina si è appropriata della gravidanza e l’attesa di un bambino è diventata problematica. La gravidanza è curata come se si trattasse di una malattia.

Il periodo che va dalla gravidanza al parto è un periodo estremamente importante per l’impostazione del rapporto genitori-figli. E’ il periodo più protetto e controllato in assoluto nella vita della donna ma non necessariamente protezione e controllo predispongono alla serenità dell’attesa.

La crisi della famiglia comincia già dalla maternità e la venuta la mondo di un figlio scoraggia quella di altri figli.

La maternità è stata “medicalizzata”, cioè la medicina si è appropriata della gravidanza con protocolli da rispettare, esami e visite a tutela della maternità ma (vedi il caso della Toscana che viene indicato nel libro di Volpi) ad una migliore e più efficiente organizzazione sanitaria corrisponde nel tempo una contrazione delle nascite più marcata…

Quale futuro?

La maternità è stata ridotta a programmazione fredda, laboriosa e controversa del figlio. La maternità consapevole si risolve sempre più spesso in maternità posticipata o rifiutata perché percepita come un’opportunità che, invece di aprire alla vita, tende piuttosto a restringerla se non a chiuderla, soffocandola tra le mille esigenze che sembrano profilarsi all’orizzonte prima del concepimento, già quando si pone mente alla prospettiva del figlio.

La famiglia ha perso prestigio nella società di oggi perché debole e alla deriva. Mentre una famiglia forte non ha paura di incontrare e affrontare la società caotica dell’epoca tumultuosa in cui viviamo.

Perché temere la società di oggi? La speranza di vita rispetto ad un secolo fa si è raddoppiata. Questo significa che oggi non ci sono più rischi di quanti ve ne fossero in passato.

Una famiglia piccola ed individualista non “lega” più la società, non ha peso e prestigio nella società perché non riesce ad influenzarne le dinamiche socio-economiche, culturali e politiche: famiglie unipersonali, coppie senza figli, famiglie con un solo genitore o da una coppia più un figlio. In questo tipo di famiglie, i figli non lasciano più la famiglia per vivere in proprio la vita e non metteranno su famiglia.

La realtà è che nelle classifiche internazionali riguardo alla capacità di capire il mondo che li circonda e alla capacità di risolvere i problemi, i nostri giovani, di tutte le età e gli ordini di scuola, navigano nelle ultimissime posizioni.

A restringersi in futuro sarà soprattutto la fascia d’età tra i 15 e i 39 anni e nel 2050 la popolazione dovrebbe assestarsi sui 50 milioni di persone: un popolo di vecchi. Una situazione insostenibile se non si interviene subito.

Prima cosa da fare: abbandonare le ideologie e gli integralismi perché la famiglia è la leva che può attenuare l’impatto demografico del domani è rientrare in gioco. Infatti, senza figli la società non sta in piedi.

La famiglia forte

Per concludere, diciamo che la logica della famiglia con figli è quella del piccolo gruppo ed è superiore a quella individualistica di coloro che non vogliono figli: complicità tra fratelli rispetto alla solitudine del figlio unico, collaborazione tra i membri della famiglia per un bene comune, capacità di rinuncia al possesso egoistico a favore degli altri, senso democratico di unità. Nei coniugi senso di potenza generativa e di pienezza, crescita personale, arricchimento interiore e orgoglio familiare.

Certo, una bella famiglia non si improvvisa, come dicevamo; tali atteggiamenti e valori andranno insegnati e coltivati con pazienza e determinazione da genitori competenti e impegnati nella creazione dapprima e nello sviluppo poi della propria famiglia, cioè della più bella avventura del mondo.

Susanna Primavera

Bibliografia:

Roberto Volpi, La fine della famiglia – la rivoluzione di cui non ci siamo accorti, 2007, Milano, Mondadori

Massimo Recalcati, Cosa resta del padre, 2017, Milano, Cortina