Il padre assente, il padre che non fa il padre, il padre divorziato…Varie le tipologie che si presentano nella società contemporanea e che testimoniano l’assenza della figura del papà, indispensabile (come quella della mamma, ovviamente) per una crescita equilibrata, armoniosa e serena dei figli. Il Dott. Stefano Parenti, psicologo (in fondo all’articolo è possibile leggere il curriculum) racconta una delle sue esperienze e delinea le varie, possibili sfaccettature degli esiti, in termini psicologici ed emotivi, dell’assenza della figura paterna.

Il padre divorziato.

Una delle esperienze che più ha segnato il mio lavoro di psicoterapeuta è stata l’incontro con un papà in lacrime. Aveva divorziato diversi anni prima, dopo una relazione extra-coniugale che era diventata stabile, per poi concludersi di recente. Era un gran lavoratore: amava la sua professione tanto da renderla il centro della propria vita. Si era da poco reso conto che la sua prima figlia, ormai agli ultimi anni del liceo, gli era totalmente indifferente. Per di più, coglieva nei suoi occhi un fascino ed un trasporto per l’attuale compagno dell’ex-moglie che scatenava in lui la componente centrale dell’invidia, ovvero la tristezza. Stava prendendo coscienza del fatto che ospitarla in casa propria una volta ogni quindici giorni, come stabilito dal giudice, accompagnarla in piscina e cenare con lei non si erano rivelati gesti sufficienti. Era mancato un suo coinvolgimento. Con le lacrime agli occhi, intuiva che lo spazio a lui predisposto nel cuore della ragazza era stato destinato ad altri già da molto tempo.

Il padre rifiutato

Mi capita di sovente d’incontrare dei figli che decidono di rifiutare il legame col padre. In genere queste situazioni sono animate dalla rabbia degli adolescenti che si sentono, a torto o a ragione, trascurati, messi da parte o semplicemente traditi per altre passioni. La rabbia è segno della presenza di un legame: quando sono arrabbiato con qualcuno l’ho sempre in mente, lo combatto, lo voglio ferire. Anche se fisicamente lo evito – proprio per procurare un dolore – mentalmente è presente dentro di me, se così si può dire metaforicamente. Al contrario l’indifferenza evidenzia l’assenza di un legame: che ci sei o non ci sei è uguale. Quel papà realizzava che il disinteresse da parte della figlia nei suoi confronti non era dettato da un rancore vendicativo, ma da una vera e propria mancanza di legittimazione. Non ti desidero non perché ti critico, ma perché non ti riconosco.

I dati della fine dei rapporti padre/figli

Ci sono due dati, tra i molti, che permettono di addentrarsi nelle pieghe di queste realtà. Il primo lo ha rilevato l’Istat nel 2009 descrivendo una situazione agghiacciante: il 32,7% dei figli di separati e divorziati non ha mai dormito nell’abitazione del padre negli ultimi due anni dopo la separazione; mentre il 20,1% non lo ha più incontrato o ha persino perso i contatti. Significa che un quinto dei ragazzi che hanno subito la rottura della propria famiglia non ha più rapporti col proprio papà e circa un terzo non lo ha mai frequentato per più di poche ore! Il secondo lo segnalano alcuni studi di psicologia, secondo cui non è sufficiente che i padri trascorrano del tempo con i propri figli perché incidano nella loro vita, ma c’è bisogno di un loro coinvolgimento. Devono essere interessati alle loro vicende quotidiane, devono seguirli nelle difficoltà, devono mostrare trasporto. In altre parole: i figli hanno bisogno di sentirsi amati realmente.

Il padre assente: effetti sul figlio

Cosa succede quando questo non avviene? La clinica e le ricerche mettono in luce che gli effetti dell’assenza del padre sui figli – ove per assenza si intende sia mancanza fisica che di coinvolgimento – sono molteplici, e riguardano le sfere principali dello sviluppo. I figli senza papà rischiano di andare peggio a scuola, di mettere in atto comportamenti pericolosi o criminali, di anticipare la data del primo rapporto sessuale, di incorrere in gravidanze adolescenziali, persino di sviluppare una psicopatologia. Si può ben immaginare che tali comportamenti siano di sovente una reazione ad una ferita che l’assenza del padre provoca e che tocca le domande più alte e profonde dell’uomo, quelle che riguardano la propria origine, come sottolineano le ricercatrici del Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano. Inoltre, quando si ha a che fare con l’origine, viene sempre implicato anche il fine della propria esistenza, quello che comunemente si chiama il senso della vita. Perché ha preferito altro a me? Non sono degno del suo amore? Io, dunque, che senso ho?

La figura del padre e la formazione del carattere del figlio

Queste dimensioni incidono nella formazione del carattere. Il carattere è la risposta abituale che l’individuo attua in un dato contesto, come ha sintetizzato più di ottant’anni fa lo psicoterapeuta cattolico Rudolf Allers. Un ragazzo che, incontrando per la prima volta un gruppo di coetanei, preferisce stare in silenzio ed ascoltare, magari tenendo le mani in tasca e per giunta evitando rigorosamente di esprimere se stesso, siamo propensi a descriverlo come timido. Se questa timidezza costituisce la sua risposta abituale agli imprevisti e ad altri eventi della vita, parliamo allora di carattere timido. Il carattere svela la scala dei valori di un individuo: un ragazzo timido è facile che dia grande importanza al giudizio degli altri a discapito del proprio, che quindi si senta insicuro di sé e ricerchi conferme all’esterno, che reputi la desiderabilità sociale un valore più alto dell’affermazione della verità, ecc.

Il carattere è immutabile?

Nella vulgata comune c’è chi pensa che il carattere sia immutabile: sono fatto così punto e basta. Anche se è vero che si tratta di una disposizione difficile da rimuovere, il carattere è una seconda natura ovvero un abito che indossiamo per vivere nel mondo. Con un lavoro adeguato si può quindi modificare, come attestano i tanti esempi di persone timorose che, dopo esperienze correttive adeguate, sviluppano il coraggio (l’iter abituale che segna – o dovrebbe segnare – il passaggio di ogni maschio dall’adolescenza all’adultità). La formazione del carattere risale al periodo dello sviluppo, in cui un ruolo fondamentale giocano i genitori. Come specifica un’altra grande psicologa cattolica, Magda Arnold, è per imitazione che i ragazzi – ma anche gli adulti – apprendono: seguendo cioè un modello positivo (al contrario di quanto diceva Freud, secondo cui, invece, è la paura – la celebre “ansia da castrazione” – a dar forma all’ideale dell’io). Il padre costituirà il modello positivo di uomo che il figlio vorrà diventare, mentre la madre lo sarà per le bambine. Quante volte sentiamo i ragazzini elogiare i propri papà! Mio papà è un gran corridore, mio papà sa fare tutto, mio papà tranquillizza sempre la mamma, ecc.

Il padre assente priva il figlio e la figlia del modello maschile

Cosa avviene quando il padre è inaccessibile o non coinvolto col figlio? Innanzitutto che l’adolescente sarà privato di una guida al mondo dei maschi. Ciò significa, per un ragazzo, doversi confrontare con i coetanei senza un modello interiorizzato e senza qualcuno da cui poter essere guidato su tematiche tipicamente maschili. Ad esempio: se un ragazzo di prima media si trova ad affrontare dei bulli non avrà il sostegno del padre, né la possibilità di imitare il suo comportamento, tanto meno di giocarsi la scala dei valori da lui tramandatagli. Sono celebri le parole che Silvester Stallone rivolge a suo figlio in uno degli innumerevoli film di Rocky: “Non è importante come colpisci, l’importante è come sai resistere ai colpi”. Una ragazza senza il papà, invece, corre il rischio di conoscere il mondo dei maschi solamente da una prospettiva limitata, quella dei propri coetanei (che ancora non sono uomini). È facile – come ci dicono alcune ricerche – che cadrà vittima della sessualizzazione precoce: scambierà le esigenze di istintività dei suoi coetanei per conferme affettive se non avrà potuto vedere e conoscere una dinamica diversa all’interno della famiglia. Dunque i ragazzi senza papà rischiano di affrontare una difficoltà in più nell’ambito del ruolo simbolico loro proprio, quello della forza. Un carattere insicuro o, all’estremo opposto, un’aggressività intemperante. Le ragazze, invece, soffriranno di una protezione dal mondo alieno (ma per loro affascinante) dei maschi: lo vedranno dall’esterno, dalla sola prospettiva della mamma – magari anch’ella donna ferita a causa di un divorzio o della solitudine – oppure da quella non ancora matura dei fratelli o dei compagni di scuola.

Il padre assente può recuperare un ruolo significativo nella vita del figlio?

Un padre assente,come quello di cui abbiamo parlato all’inizio, ha possibilità di recupero? Dipende. I fattori in gioco sono tanti ed ogni situazione è a sé. In linea generale io direi di sì. Ci sono delle condizioni, però, che deve rispettare per ritornare ad avere un ruolo significativo nella vita del figlio. Primo: non pretendere alcuno spazio. Il discorso “io sono tuo papà tu devi…” non vale più. È necessario sostituire la richiesta con l’offerta, l’imposta con la proposta. E quindi essere disposti a ricevere anche (tanti) no. Nella mia esperienza molti genitori su questo punto fanno davvero fatica. Secondo: non aspettarsi alcun esito. “Se son rose fioriranno” ovvero bisogna porsi nell’ottica del seminatore: uno ce la mette tutta per far crescere una piantina, ma non è detto che succeda. Terzo: entrare nel suo mondo. Non è il genitore a dover portare il figlio nella sua quotidianità (per carità, se il figlio accetta, va benissimo!), perché tendenzialmente gli adolescenti hanno i loro impegni ed un sentimento di libertà ipertrofico tanto che se si minano i loro spazi si fa loro un torto. Quindi è bene mettersi a loro servizio, sfruttando gli accompagnamenti, parlando dei loro interessi, cogliendo gli spazi di dialogo che propongono senza storcere troppo il naso (ovviamente fatto salvo i limiti delle regole di base: salute, scuola e comportamento).

Il figlio ha bisogno del padre/il padre ha bisogno del figlio

Tutti questi punti, ed altri ancora che per brevità non segnaliamo, possono essere percorsi solamente se il padre capisce una cosa fondamentale: che del suo ritorno c’è bisogno. Per i figli e per se stesso. Può allora compiere dei tentativi faticosi e talvolta apparentemente vani non per un tornaconto, né per la gloria o il successo o il piacere. Ma semplicemente perché è giusto che un papà faccia il padre, compia cioè la strada che Dio gli ha messo sotto i piedi. È una missione a cui ha detto sì molti anni prima. Implica fortezza e temperanza, le virtù degli eroi, che educano con l’esempio e la testimonianza. Con una tale consapevolezza, non importa se i risultati arriveranno tardi o magari non arriveranno mai: un padre avrà ritrovato la sua dimensione, al di là di come avrà risposto il figlio.

 

Stefano Parenti è nato e cresciuto a Sanremo, ma da più di dieci anni vive ed opera a Milano in qualità di psicologo e psicoterapeuta. Lavora nell’ambito della sofferenza psichica, anche nel contesto dell’adolescenza

e della disabilità. Ha condotto gruppi di educazione all’affettività, collaborando al Servizio Informafamiglia del Comune di Milano con cui è tuttora impegnato presso un Centro Diurno Disabili.

Opera inoltre presso un Consultorio Familiare sempre di Milano.

Oltre al proprio studio professionale, attualmente gestisce il Presidio Socio-Psicologico di un’importante azienda milanese ed opera presso un Centro Diurno per minori ed un Centro di Aggregazione Giovanile. Ha redatto alcuni articoli per le riviste Future Shock, Cultura Cattolica, La Nuova Bussola Quotidiana, Ipnosi e Psicoterapia Ipnotica e La Croce. Co-dirige il blog di approfondimento Psicologia e Cattolicesimo. Recentemente è stato omaggiato dal Premio “Agostino Massone” per la tesi di specialità dedicata al Rinforzo dell’Io come pietra angolare della psicoterapia. Fatherless è il suo primo libro.

E’ autore del libro “Magda Arnold, psicologa delle emozioni“.