I film in programma nel “Mese per la Vita 2019” si sono svolti, come di consueto, presso il Convento dei Frati Cappuccini di Varese e hanno affrontato il tema della famiglia da vari punti di vista, con una messa a fuoco su questioni sociali molto attuali e spinose come il bullismo e l’utero in affitto. Non è mancato il tema dell’amore giovane e della maturazione del ruolo del padre.

Wonder di Stephen Chbosky (2017)

Nel  primo film in programma il 5 febbraio dal titolo “Wonder” di Stephen Chbosky con Julia Roberts, Jacob Tremblay e Owen Wilson come principali interpreti, è stata raccontata la storia del piccolo Auggie, affetto da una malattia rara che gli ha deturpato il viso. Fin dall’inizio della scuola media egli deve affrontare le angherie e le vessazioni di alcuni compagni di classe che lo emarginano e lo fanno sentire umiliato e solo. La sua fortuna e la sua vera forza è la famiglia che sa come aiutarlo a ritrovare la fiducia in se stesso e a mantenere lucidità ed equilibrio. La mamma, in particolare, è una donna decisa e amorevole che lo valorizza e lo spinge a cercare in se stesso la forza per reagire in modo positivo. Anche la figura del padre è significativa perché, sia pure in una modalità più ludica ma non meno efficace, sa come dimostrargli affetto, tenerezza e una continua fiducia. Chi si sente messo da parte è invece la sorella maggiore di Auggie adolescente che sta attraversando un momento di crisi per aver perso l’amica del cuore… Un film dai sani valori umani e sociali, psicologicamente stimolante e orientato a far superare con l’intelligenza i propri limiti fisici. Gli attori famosi sono molto bravi e infine il ritmo vivace e brillante cattura lo spettatore, che alterna sorriso a commozione.

L’enfant di Jean-Pierre e Luc Dardenne (2005) Palma d’oro al 58mo Festival di Cannes

Il secondo film in programma il 12 febbraio s’intitola L’enfant dei fratelli registi Jean-Pierre e Luc Dardenne e ha affrontato il tema dell’amore giovane raccontandoci la storia di Bruno (20 anni) e Sofia (18 anni) che con leggerezza e senza mezzi, creano una famiglia mettendo al mondo un bambino. Sofia, nonostante la giovane età, è già responsabile e concreta mentre Bruno è veramente immaturo, fa il gradasso e non vuole andare a lavorare; vive pertanto alla giornata organizzando piccoli furti quando ad un certo punto pensa di ricavare un bel po’ di soldi vendendo il proprio bambino. Lo fa istintivamente senza pensare, proprio come si suol dire “senza testa”, infatti si pente subito dopo, quando Sofia, appena venuta a conoscenza della sua “bravata”, sviene all’istante e lui dovrà portarla in ospedale. Infine Bruno nella dolorosa solitudine della prigione avrà tempo di ripensare alla propria vicenda umana ma mai gli mancherà l’amore di Sofia che lo avrà perdonato nella sua immaturità perché il loro amore è giovane e povero ma sincero.

Una famiglia di Sebastiano Riso (2017)

Il film del 19 febbraio ha affrontato il tema tristemente attuale del raccapricciante traffico dei neonati da parte di gente senza scrupoli e venale. L’ambientazione è quella triste e scarna di una periferia romana e gli interni vuoti dove la vita si svolge in modo quasi irreale. Patrick Bruel interpreta bene un uomo sulla cinquantina (Vincenzo) chiuso, subdolo e materiale, che si è scelto un lavoro cinico e pericoloso che consiste nel vendere illegalmente i propri figli appena nati ricavandone grosse somme di denaro.  Micaela Ramazzotti ne interpreta la compagna più giovane di lui (Maria), una donna fragile affettivamente e succube psicologicamente del compagno con cui ha un rapporto essenzialmente sensuale ed erotico ma privo di profondità, tenerezza e sincerità. Ella infatti vorrebbe tenere con sé i propri figli per diventare una vera famiglia ma lui non ne vuole sapere. Ella ne soffre in solitudine ma lo accontenta sempre, ne è succube e non ha abbastanza forza per reagire fino a quando decide in cuor suo di tenere l’ultimo figlio. Ma il nascituro è destinato ad una coppia gay che appare del tutto “mostruosa” perché dapprima vuole il bambino a tutti i costi, pagandolo a caro prezzo ma poi lo rifiuta perchè malato. Il film è molto triste e cupo, spesso eccessivo e crudo, a tratti sgradevole ma alla fine si riscatta nelle ultime sequenze quando il regista fa scatenare il pianto del bambino che, strappato alla madre, non trova pace. Questo pianto colpisce lo spettatore non solo perché inarrestabile ma anche perché è la voce dell’indifeso che è stato “scartato” che si fa finalmente sentire, reclama giustizia e vuole la madre come proprio sacrosanto diritto. Infatti, l’ultima scena del film inquadra una panchina dove sta seduta, finalmente in pace, la madre con il proprio bimbo in grembo, circondati da un alone di luce…

Ritorno alla vita di Wim Wenders (2015)

Con l’ultimo film di Wenders, una particolare creazione in 3D, abbiamo ritrovato la poesia unita alla bellezza della fotografia e della musica. Il film racconta 12 anni della vita di Tomas, un giovane scrittore (James Franco) dal momento della disgrazia legata ad un’ incidente stradale in cui uccide involontariamente un bambino fino al momento del successo e della conquista di una serenità interiore fatta di maturità e di empatia. Dopo l’incidente, il senso di colpa lo tormenta e ne deriva una crisi esistenziale lunga e pesante in cui penserà anche di farla finita. Ma la sofferenza di un artista, come spesso accade, getta luce nel profondo di sé e la fantasia decolla portandolo al successo letterario. L’incontro con la famiglia del bimbo morto sfiora nel tempo l’ amicizia e Tomas diventa, senza saperlo né volerlo, un riferimento ideale, un modello di successo, quasi un padre per il bambino sopravvissuto. La complessità della personalità dello scrittore, un uomo sensibile e attento, introverso e solitario, e delle relazioni sentimentali con le sue donne, il rapporto rispettoso con il proprio padre, la fatica della creazione letteraria, vengono espressi dalla telecamera, e quindi dagli occhi del regista, non solo dagli sguardi e dal comportamento dei personaggi ma anche dai frequenti silenzi, dallo splendore della natura canadese con la sua neve, le sue acque e i suoi campi fioriti al vento, dallo scorrere delle stagioni della vita e, infine, dalla musica suggestiva e misteriosa di Alexander Desplat che fa da sfondo evocando per tutto il film mistero, poesia e pace perché alla fine… tutto andrà a finire bene (è questo infatti il titolo originale Every Thing Will Be Fine).

Grazie a tutti coloro che ci hanno seguito partecipando alle serate di proiezione e ai dibattiti seguiti ai film e arrivederci al 2020!