Lo “scudo” del sapere, l’armatura dello studente di fronte alle difficoltà della vita.

Il virus ha impattato sulla vita di tutti, in primis sulla scuola, sui docenti e sugli studenti, costretti ad “evitarsi” per precauzione, a stare lontani. Una situazione del genere, nel nostro Paese, non si era mai verificata negli ultimi 50 anni. L’Italia ha conosciuto l’esplosione dell’Aids, la contaminazione di cibi e aria a causa di Chernobyl, la diffusione della diossina ai tempi di Seveso…mai però la chiusura delle scuole e la sospensione delle attività didattiche come in questo anno scolastico 2019/2020 per diversi mesi.

E’ stata attivata la cosiddetta “didattica a distanza“, via web, con piattaforme per comunicare con i ragazzi, per spiegare, correggere compiti e anche interrogare, oralmente e per iscritto. padre scuolaSi è fatta un po’ di fatica, specie all’inizio, la scuola italiana (o meglio, l’Italia) non è attrezzata per questo tipo di situazioni. Mentre lavorare da casa è già una realtà in altre parti del mondo, da noi no. Figuriamoci poi nella scuola! Così i genitori, anch’essi forzatamente a casa per via della pandemia,  si sono ritrovati, improvvisamente, a dover occuparsi dei propri figli quasi a tempo pieno.

“Docenti socialmente poco considerati”…però agli studenti mancano

“Docenti a casa” – si è sentito dire – “docenti sempre in vacanza”-“non bastavano mezza giornata di lavoro e tre mesi di vacanza”…i soliti luoghi comuni che accompagnano la categoria, tra le più disprezzate d’Italia. Però…c’è un però: a scuolasentire gli studenti, dopo la prima settimana di euforia, senza compiti né interrogazioni, improvvisamente la scuola manca. Sì, sono gli stessi ragazzi ad ammetterlo: privati di tutto, della scuola, dello sport, dell’oratorio, degli incontri e delle relazioni con gli amici, si annoiavano. Va bene alzarsi più tardi, ma poi? Non si poteva uscire, papà e mamma hanno dato direttive rigide. Sospesi gli allenamenti e le partite, interrotta l’attività dell’oratorio, si è vissuti attendendo la sera. Un po’ poco per dei giovani assetati di tutto.

“Non l’avrei mai detto: eppure mi manca la scuola, mi mancano i prof“, così hanno ammesso gli studenti.  Eh sì, perchè l’insegnante, il tanto vituperato e disprezzato insegnante, occupa una buona parte della vita dei ragazzi. “Nel bene e nel male, ci si ricorderà per sempre dei docenti”: se ci pensiamo, ognuno di noi potrebbe pronunciare questa frase. Non è che tutto funzioni sempre e che tutti gli insegnanti riescano a far breccia nei cuori dei propri studenti, ma molti ci riescono. Come fanno? Quale il segreto?

Susanna Tamaro: “avere avuto un professore piuttosto che un altro può fare una grande differenza”

Tamaro alzare lo sguardo

Nel corso di una vita, avere avuto un professore piuttosto che un altro può fare una grande differenza.“, dice Susanna Tamaro nel suo ultimo romanzo “Alzare lo sguardo”.

Forse i ragazzi, in assenza degli insegnanti, iniziano a comprendere che cosa sia l’autorevolezza, quanto conti il sapere appreso a scuola, come sia possibile, solo studiando, solo grazie al “sapere”,uscire dallo stato di bestia per entrare nella civiltà umana.

“La prima qualità è l’autorevolezza del docente”

Belle le parole che Vittorino Andreoli, noto psichiatra, ha dedicato alla figura dell’insegnante:

“E ora ti voglio parlare in questa mia lettera delle doti che fanno di te un buon insegnante. Delle strategie perché tu possa espletare il tuo compito pienamente. Credo che la prima qualità sia l’autorevolezza. Viene percepita come caratteristica della persona ed è certo l’insieme di molti elementi. L’autorevolezza dà credibilità: ti rende punto di riferimento e le tue affermazioni assumono il significato di «verità».

(…)

Una presenza attiva, un buon insegnante, animata dalla voglia di dare, di fare sempre meglio senza mai chiudersi in una recita fredda, seguendo uno stanco copione che si ripete da anni. La si misura con il desiderio di andare a scuola, di entrare nell’aula o all’opposto con la paura persino di salire sulla cattedra. La partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire e far percepire qualsiasi argomento in maniera Vittorino Andreoliaccattivante, interessante e aggiornata, dunque in una versione sempre nuova poiché nulla nelle discipline insegnate rimane immutato e l’insegnante deve coglierne le novità. Ma c’è una partecipazione che riguarda l’affettività e che esprime la voglia di trasmettere quello che uno sa e che ha raggiunto in tanti anni di approfondimenti.”

(…)

“Il ruolo del docente è sacro”

“Il tuo ruolo è sacro e non intendo assolutamente parlare di missione, che non c’entra nulla, ma mi riferisco alla sacralità come svolgimento di una cerimonia che è certo fondata su un sapere razionale, ma anche su qualche cosa di strano, di fascinoso, persino di misterioso, poiché il mistero rimane dentro il pensiero umano. Tu non sei il padre dei tuoi allievi, non l’amico, non lo psicologo che assiste ai drammi della crescita. Sei un uomo o una donna con l’incarico di allevare un gruppo di persone, di fare il direttore d’orchestra e devi indossare, anche materialmente, un abito che sappia di cerimonia, che si adegui alla tua parte.”

In tempi di “peste” si riscoprono valori che forse si davano per scontati o non si consideravano come tali. Nei giorni di forzata inattività si sono scomodati esempi illustri del passato, offerti dalla letteratura di tutti i tempi, per riflettere sulla reazione che gli esseri umani hanno avuto di fronte alla paura del contagio e della morte. A partire dalla pestilenza scoppiata nel campo degli Achei, al tempo della guerra di Troia, per arrivare alla peste ad Atene nella guerra del Peloponneso, alla peste di Giustiniano, nel V secolo, fino poi a Boccaccio a Firenze e Manzoni nella Milano dei Promessi Sposi. Esempi luminosi forse utili per insegnare ad affrontare le difficoltà della vita, per offrire uno scudo agli studenti, lo scudo del sapere.cavaliere eroe

“lo scudo del sapere, l’armatura dello studente di fronte alle difficoltà della vita”

I docenti artefici dell’armatura degli studenti:   “Insegnanti si nasce. Per un insegnante far lezione non deve essere mai di peso e, senza aspettare che diventi un’improba fatica, al primo segnale che l’insegnamento non gli dà più gioia deve lasciare la scuola e andarsene. In realtà le persone felicemente dotate di questo talento sono anche numerose. Poche di loro però riescono a mantenerlo intatto nel corso degli anni.  […].”(A.I.Solženicyn , “Ama la rivoluzione!”)