Da circa 30 anni partecipo all’attività di associazioni di volontariato nella sanità e in campo educativo.

Non mi ero mai trovata “attaccata” per la mia attività come è invece successo a Macerata e Loreto, in occasione della VIII Giornata Nazionale della Salute della Donna, il 21 e 22 aprile scorso, nel convegno “Maternità in attesa, preservare la salute della donna in gravidanza” quando il Collettivo Depangher ha occupato l’aula della biblioteca, sede del convegno, ostacolando la partecipazione dei convenuti e l’inizio dei lavori.

Si è trattato di una chiassosa protesta femminista, dai toni volgari uniti ad un’impronta goliardica, che i giornali locali hanno definito “colorata” e che io definirei dai toni aggressivi improntati al gioco. Dai cartelli esposti è stata una manifestazione di intolleranza anche ai valori cristiani della fede, della vita e della famiglia da parte di un piccolo gruppo di studenti e studentesse del Collettivo studentesco Depangher di Macerata. Grazie all’intervento delle forze dell’ordine che hanno vigilato e presidiato la sala del convegno, garantendo sicurezza fino alla fine dell’evento, gli studenti contestatori hanno ben presto lasciato l’aula.  Alle forze dell’ordine va un grande ringraziamento perché all’inizio eravamo anche un pò spaventati e con loro abbiamo ritrovato serenità e la possibilità di intervenire, secondo il programma previsto.

Ritorno della contestazione?

All’inizio, salendo le scale verso la biblioteca, abbiamo capito subito che lì c’era una protesta, trovando striscioni femministi di vecchio stampo, tipo l’utero è mio, viva il diritto di aborto e simili, appiccicati ovunque sui muri.

Ho fatto un tuffo indietro di 40 anni, ho provato un fremito e mi sono immediatamente rivista a Milano,  giovane studentessa di filosofia all’Università Cattolica. Arrivando in università, a metà anni 70, trovavo spesso picchetti, banchetti coperti di libri e ciclostili, bandiere rosse. Ovunque l’atmosfera era quella passionale della protesta, dell’attacco. Anche se allora si trattava di un attacco dialettico, un confronto tra posizioni diverse, che partiva da una provocazione verso i docenti. Quando nei primi anni duemila, è stato il turno dei miei figli di frequentare l’università, ogni traccia di contrapposizione studentesca era completamente scomparsa.

Sono stata una ragazza di fede, aperta alla verità e in cerca di giustizia e condividevo la visione umanistica dell’uomo e i sentimenti espressi dai cantautori di quegli anni come Fabrizio De André e Pierangelo Bertoli, cantanti e veri poeti, ricchi di umanità. Eravamo contro la guerra, contro l’apartheit in Sudafrica, come Martin Luther King avevamo un sogno di giustizia. Pensavamo al Vietnam con sgomento e volevamo capire perché l’imperialismo non era ancora finito. Il femminismo ci ha visto giusto su molti aspetti della vita delle donne nella società ma sull’aborto ha sbagliato di grosso. La vita è il primo e più grande valore; di fatto, è tutto ciò che abbiamo.

Femminismo sì, femminismo no

La vita perciò va rispettata sempre e non c’entra nulla con la rivendicazione dei diritti delle donne nella società e non è scritto da nessuna parte che l’aborto sia un diritto, nemmeno nella legge 194.

Il rispetto della vita viene prima sempre, dall’inizio nel grembo materno fino alla morte naturale. La persona umana ha un valore incomparabile, come diceva San Giovanni Paolo II. Un altro errore delle femministe è stato quello di vedere l’uomo come il nemico di sempre da combattere, una visione conflittuale del rapporto uomo donna che ha fatto allontanare l’uomo, lo ha reso confuso circa i suoi doveri e il suo ruolo nella famiglia.

Invece tra uomo e donna serve instaurare un rapporto di collaborazione, anzi, di complicità per realizzare sogni e progetti insieme. Non è facile creare un bel rapporto di coppia ma si può farcela con tanta pazienza e impegno reciproco. Infine, la famiglia non è una palla al piede ma un progetto di fondamentale importanza: è alla base della vita della società e della sua cultura. Le femministe sbagliano quando vedono la maternità come un peso che intralcia lo sviluppo personale, la conquista del lavoro, la propria indipendenza. Sul lavoro, se una donna vale e sa farsi apprezzare, diventa preziosa per l’azienda, che non sta a guardare alla maternità e cerca di non perdere questa sua “risorsa”.

La nostra esperienza di volontariato ci dice che spesso è proprio la maternità a rendere le donne più mature, più consapevoli e più libere. La maternità è una ricchezza sempre, per la donna e per l’uomo che l’accompagna. La verità è che la donna non deve mai essere lasciata sola, senza aiuti e sostegni, senza amicizia. L’uomo non deve abbandonare la sua donna incinta, non deve “scappare”! Deve assumersi le sue responsabilità e diventare il miglior compagno possibile e un padre consapevole del grande valore del suo ruolo, anche educativo.

Le femministe devono andare al di là degli slogan e iniziare a guardare alle donne con un  sguardo nuovo, più umano, meno ideologico. Devono interessarsi veramente delle donne e ascoltare i loro bisogni più profondi, anche quelli della loro anima.

Eppure il vento soffia ancora

I ragazzi e le ragazze del collettivo maceratese sembravano avere inscenato in fondo soltanto una goliardata, perché non hanno cercato in verità il confronto sulle idee, accettando un  contraddittorio, ma si sono limitati a “parlare sopra” al nostro tentativo di instaurare un dialogo, con fischi e chiasso tout court. Perciò nessun sano confronto democratico ma solo evidente “intolleranza” verso i cattolici e i prolife.

Eppure il vento soffia ancora…” (puoi ascoltare qui questa bellissima canzone di Pierangelo Bertoli) ed è uno Spirito di Vita che soffia molto forte e disturba i nichelisti di ieri e di oggi che, esaltando il diritto di aborto, inneggiano… alla morte!

Susanna Primavera