Riflessione cattolica sul caso Laura Santi alla luce del Magistero della Chiesa, di don Andrea Tosca
La vicenda di Laura Santi, giornalista e attivista affetta da sclerosi multipla, che ha scelto di morire mediante il suicidio medicalmente assistito, ingoiando un farmaco che l’ha uccisa, ha acceso un vasto dibattito mediatico. Commozione e rispetto per la sua storia sono stati accompagnati da una spinta ideologica che chiede una legge sul fine vita, presentando il suicidio assistito come un atto di civiltà, di libertà e perfino di amore.
Ma è davvero questa la risposta più umana alla sofferenza? O ci troviamo dinanzi a una falsa compassione che tradisce la dignità della persona umana e il senso stesso della libertà?
La Chiesa, illuminata dalla fede e guidata dalla ragione, risponde con chiarezza, nel solco del suo Magistero millenario.
Suicidio contrario alla morale cattolica
Il suicidio, anche quando è scelto in situazioni drammatiche e reso “accettabile” dalla legge civile, rimane un atto contrario alla legge morale naturale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna con fermezza:
«Il suicidio contraddice l’innato amore per la vita. È un’offesa all’amore del Dio vivente, suo Creatore» (CCC, 2281).
E aggiunge: «Anche se non imputabile moralmente in modo pieno, resta sempre un disordine oggettivo grave» (CCC, 2282).
Libertà non è arbitrio
Inoltre, la libertà non consiste nell’arbitrio, nell’autodeterminazione assoluta che nega ogni dipendenza dalla verità. La libertà autentica è apertura al bene, alla relazione, alla responsabilità.
San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Evangelium Vitae, afferma con forza:
«La libertà autentica non è nemica della vita, ma è al suo servizio» (EV, 19).
E Benedetto XVI ha ammonito:
«Quando la libertà si svincola dalla verità, non si afferma, ma si distrugge» (Omelia per l’inizio del pontificato, 24 aprile 2005).
Non è dunque un atto di libertà scegliere la morte, perché ciò comporta il rifiuto stesso della propria esistenza come dono. Non siamo padroni della vita, né della nostra né di quella degli altri. La vita è un bene indisponibile, perché ci precede, ci è stata affidata, e ci conduce a un destino più grande.
Lo Stato legifera sul suicidio assistito? Logica nichilista
Accettare che lo Stato legiferi sul suicidio assistito in nome della “autonomia individuale” è cedere a una logica nichilista. Una legge che autorizzi l’eutanasia o il suicidio assistito è intrinsecamente ingiusta.
Lo ribadisce con chiarezza Giovanni Paolo II:
«Una legge che legittima l’eutanasia è, dal punto di vista morale, una legge ingiusta: non solo non crea nessun obbligo di coscienza, ma impone piuttosto una grave e precisa obbligazione di opporsi ad essa mediante l’obiezione di coscienza» (Evangelium Vitae, 73).
Compassione cristiana
Nel caso di Laura Santi, si è parlato insistentemente di “compassione”. Ma la vera compassione cristiana non consiste nel togliere la vita a chi soffre, ma nello stare con lui, nel custodirlo, nel condividere la sua croce.
La lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede (2020), ricorda con chiarezza che:
«L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza» (SB, V).
E ancora:
«La compassione non può mai tradursi in un atto che elimina la persona che soffre, ma deve tradursi in prossimità, conforto, e sostegno» (SB, II).
Papa Francesco ha ribadito più volte la necessità di rifiutare la cultura dello scarto, che elimina ciò che è fragile, improduttivo, debole.
In un discorso del 1° febbraio 2020 al Comitato nazionale per la bioetica, ha detto:
«La pratica dell’eutanasia, che si è legalizzata in diversi Stati, solo apparentemente promuove la libertà personale. In realtà si basa su una visione utilitaristica della persona umana, che diventa scartabile quando non è più produttiva».
E ancora:
«Dobbiamo testimoniare con coraggio che la vita dell’uomo, anche quando è debole e sofferente, è sempre un bene» (Discorso ai medici cattolici, 15 novembre 2014).
Questa è la vera civiltà: non l’eliminazione della sofferenza sopprimendo chi soffre, ma la cura della persona, l’accompagnamento nella fragilità, la presenza che consola. In quest’ottica, le cure palliative rappresentano una risposta concreta, umana e cristiana.
Come afferma Samaritanus Bonus:
«Il valore della vita umana non si misura dalla sua efficienza o qualità, ma dal suo essere un bene in sé, anche nella sofferenza e nella malattia» (SB, VII).
La sofferenza, per il cristiano, non è mai priva di senso. È misteriosa, ma può essere redenta. San Giovanni Paolo II scrive in Salvifici Doloris:
«La sofferenza ha una forza redentrice quando è vissuta con Cristo. Essa porta il malato a unirsi al sacrificio di Gesù per la salvezza del mondo» (Salvifici Doloris, 27).
Cristo non ci ha salvati evitandoci la croce, ma portandola. E con Lui, anche la sofferenza più atroce può diventare via di salvezza, occasione di amore, seme di resurrezione. Ogni malato, anche se non più capace di parlare o muoversi, rimane figlio amato di Dio, che non viene mai abbandonato.
Il Vangelo e la bellezza della vita anche se fragile
Il Vangelo proclama la bellezza della vita, anche quando è fragile. La comunità cristiana è chiamata a essere segno profetico di questa speranza. Mentre il mondo esalta l’autonomia fino a dissolverla, la Chiesa proclama che la vita è relazione, dono, responsabilità, fedeltà. Mentre il mondo si affida alla tecnica, il Vangelo insegna la vicinanza. Mentre si promuove il diritto a morire, noi difendiamo il dovere di vivere e di custodire la vita fino alla fine naturale.
La morte di Laura Santi ci interpella profondamente. Ci chiede di essere più vicini a chi soffre, di sostenere le famiglie, di valorizzare le cure palliative, di rafforzare le reti di fraternità. Ma non può e non deve essere usata per giustificare leggi che uccidono, anche se per mano dolce.
La vita è sacra. Non è un possesso, ma una vocazione. Non è un diritto da disporre, ma un mistero da accogliere.
Fino all’ultimo respiro, ogni vita vale. Anche quella più fragile. Anche quella ferita. Anche quella che il mondo non vuole più vedere.
don Andrea C. R. Tosca