Nonostante i successi raggiunti dalle politiche internazionali di sviluppo dei paesi poveri del mondo, nate dopo la Seconda Guerra Mondiale a seguito della decolonizzazione, oggi sono circa 250/270 milioni i bambini nel mondo che non hanno ancora accesso all’istruzione. Tra i rifugiati, il 46% dei bambini in età scolare non frequenta la scuola e oltre 5,7 milioni non accede del tutto alla scuola. Il rapporto sull’istruzione dell’UNHCR 2025 parla chiaro: si è fatto molto per consentire l’accesso all’istruzione di bambini in tutto il mondo ma resta ancora molto da fare. Purtroppo, i recenti tagli agli aiuti umanitari e allo sviluppo, dovuti all’incertezza generale per le guerre e le tensioni commerciali in corso, possono mettere a rischio questo progresso duramente conquistato.
Anche in Italia, in particolare, la scuola ha molti problemi e nell’istruzione non si investe mai abbastanza. Pare soprattutto che la formazione erogata sia di scarsa qualità con programmi obsoleti. Anche i docenti sono in crisi; oltre ad essere in numero insufficiente, sono poco motivati (con stipendi ai livelli più bassi in Europa, vedi il Rapporto Ocse 2025) e con un carico eccessivo di lavoro burocratico che, oltre ad essere fonte di stress, sottrae loro tempo prezioso da dedicare alla didattica.
Il senso dell’educare
Eppure la qualità dell’istruzione e, più in generale, della formazione culturale e professionale dei giovani dovrebbe rappresentare il primo investimento di una nazione, in quanto il suo sviluppo inizia a partire dal livello di preparazione umana, scolastica e professionale della propria gioventù, la vera ricchezza del futuro di un Paese.
La Chiesa ha qualcosa da dire di importante anche in campo educativo. A 60 anni (28 ottobre 1965) dalla Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis di Papa Paolo VI sull’estrema importanza e attualità dell’educazione nella vita della persona umana, Papa Leone XIV gli rende omaggio, rilanciando l’importanza dell’attività educativa verso i giovani di ogni tempo, con la sua lettera apostolica intitolata “Disegnare nuove tappe di speranza“.
Innanzitutto, si sottolinea che per il Concilio Vaticano II, l’educazione non è attività accessoria, ma forma la trama stessa dell’evangelizzazione: è il modo concreto con cui il Vangelo diventa gesto educativo, relazione, cultura. L’incertezza e il senso di disorientamento sono inevitabili in un tempo come il nostro di rapidi mutamenti sociali, tecnologici e di costume ma il Vangelo non invecchia mai, anzi, fa nuove tutte le cose (Ap21,5). Di fatto, ogni generazione è responsabile della consegna del Vangelo e della scoperta del suo “potere seminale e moltiplicatore”.
La Paideia Cristiana
Come adulti, siamo dunque responsabili della qualità dell’educazione che forniamo ai giovani. Alla base del concetto di rinnovamento possibile della cultura educativa lungo il tempo della storia, il Papa ci ricorda l’importanza del concetto di Paideia Cristiana, l’idea che si possa unire il grande ideale greco di formazione completa dell’uomo (paideia) con i principi della fede cristiana, ove Cristo è il modello di uomo e Dio lo scopo ultimo della vita e della conoscenza. Un tentativo di conciliazione tra ragione e fede, intrapreso anche da San Agostino.
San Agostino, infatti, diede grande importanza al ruolo della cultura nell’educazione morale e religiosa del cristiano. Riteneva che la causa di ogni alienazione fosse la perdita della dimensione interiore; “Erroris maxima causa est, quod homo sibi ipse est incognitus” (De Ordine, I, 1, 3). Solo attraverso il silenzio interiore e la meditazione, l’uomo si allontana dai pregiudizi, si eleva spiritualmente volgendosi verso Dio.
Le linee guida di una vigorosa educazione morale e civile dei giovani e il profilo dell’educatore sono tracciati nel secondo libro del De Ordine. L’educatore, (in senso lato insegnante, genitore, professionista) è tale solo se è “testimone”, vive cioè l’esperienza e i valori che insegna, altrimenti non si rende credibile. Egli testimonia la gioia della libertà interiore e della generosità, valori che plasmano una vita non qualunque ma superiore, degna di essere vissuta. Inoltre, l’educatore deve avere delle qualità personali per essere magnanimo, non troppo severo, molto saggio, equilibrato e autorevole.
Chi è l’educatore
A scuola, San Agostino mirava innanzitutto a suscitare nei giovani l’amore appassionato e disinteressato per la verità e lo studio in un clima di serenità e di pace piuttosto che di invidia e di rivalità tra discenti. Egli era contrario a tutto ciò che poteva avvelere l’animo e creare rivalità tra studenti, ad esempio, quando si confrontano tra di loro sui risultati raggiunti.
Anche oggi l’arte di educare è alquanto difficile perché comporta sempre una dimensione di rischio nella relazione con l’altro. Proporre domande, fornire risposte, sollecitare un cambiamento, indicare una strada possono essere accettati dall’educando come non esserlo. E’ veramente difficile capire fino a che punto ci si può spingere per sollecitare un cambiamento oppure capire che è meglio tacere e aspettare.
L’educatore deve diventare “pedagogista di se stesso”, sviluppare interiormente un lavoro sistematico di autocritica per migliorare le proprie capacità: di empatia, di comunicazione, di relazione, di motivazione, suscitando interesse e, infine, ammirazione. Educare è sempre una missione, anche nei nostri tempi moderni, in cui la società è decisamente cambiata e ha perso il rispetto per l’educatore, il Maestro di un tempo.
Educare oggi è fare i conti con la società
Oggi, il compito educativo dei genitori è spesso ignorato da una visione superficiale del ruolo genitoriale. Nella scuola, sono sempre più numerosi i genitori che, volendo iperproteggere i figli dal fallimento scolastico, non hanno più rispetto dei professori e “pretendono” i bei risultati, la promozione e il successo per i figli. Costoro, cresciuti senza sforzi, senza fatiche, senza sacrifici, perché hanno ottenuto tutto facilmente fin da piccoli, finiscono per lasciarsi andare alla deriva diventando bulli, violenti e irrispettosi.
Eppure, la nostra Costituzione parla chiaro, con l’art. 30 che stabilisce il dovere e il diritto dei genitori di educare i propri figli: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio…”. Adulti quindi responsabili della qualità dell’educazione fornita ai giovani. Un’educazione che insegni la legge della vita per cui la soddisfazione è direttamente proporzionale all’impegno profuso. Educare per non lasciare impreparati di fronte alle scelte che la vita impone, sapendo che comunque è sbagliando che s’impara… la lezione della vita.
Susanna Primavera

