NO al ddl Zan che sovverte i ruoli di padre e madre e distrugge il valore della famiglia

Chi è padre, chi è madre, cosa significa famiglia? La cultura e la storia, la Parola e  il Magistero ci possono aiutare a capire quale grandezza ci sia nelle figure e nelle realtà che hanno generato tutti noi.

Sparta e Atene: alla ricerca di un senso per padre, madre e famiglia

Partiamo dal mondo greco: se pensiamo a Sparta e Atene, vediamo che già in quelle realtà così  lontane cronologicamente, si era intuito l’aspetto nodale della famiglia umana, anche se interpretato secondo i limiti dell’epoca : 

  1. Sparta escludeva la possibilità di educare il figlio in famiglia: è noto che i giovani dovevano diventare guerrieri, di conseguenza, per evitare che venisse cresciuto nella “ mollezza”, il piccolo all’età di 7 anni era sottratto all’educazione materna e cresciuto in gruppi, ma era anche allontanato  dal padre, perché i figli “ non erano possesso privato del padre, ma comune dello Stato”(Plutarco, Vita di Licurgo, 15,14). Il sistema spartano tendeva a depotenziare il valore della vita familiare rispetto a quella comunitaria. La storia di Sparta in effetti  è storia di ideologie ( come sostiene la grecista Eva Cantarella in “ Sparta e Atene”, Einaudi ed.) che hanno lasciato il segno e gli effetti su tutta la vita effimera di questo popolo, così poco aperto e disponibile all’evoluzione da non aver consegnato in eredità culturale al mondo pressoché nulla.
  2. Ad Atene il potere paterno sui figli era poco pesante, si limitava al massimo, in casi eccezionali, al ripudio, pratica che Aristotele commenta così : “ Non c’è nulla di sconveniente, anzi è giusto che (…) sia permesso al padre scacciare il figlio. Infatti chi è in debito deve restituire, e il figlio, per quanto faccia, non avrà mai compiuto qualcosa all’altezza dei benefici ricevuti, per cui è sempre in debito”( Etica Nicomachea).
    I figli, d’altro canto, avevano un dovere detto “ gerotrophia”, l’obbligo cioè di mantenere i vecchi genitori: esisteva ad Atene una legge che imponeva ai figli di ospitare e nutrire i genitori qualora non fossero in grado di farlo da soli;i figli che non rispettavano questa legge, potevano essere perseguiti in giudizio.

Davvero non si può non rimanere sorpresi dall’ esistenza di una norma che puniva non un reato, bensì  la violazione di un dovere etico e sociale.

Tutto ciò che finora abbiamo osservato comporta  almeno due riflessioni:

A) non è un mistero il motivo per il quale Atene si merita la definizione di “ paideia dell’Ellade”, ruolo guida della Grecia, a differenza di Sparta;

B) l’importanza dei genitori, della famiglia, è stata intuita dai tempi dei tempi, e realizzata in modo diverso, o per affievolirne la forza ( Sparta) o per valorizzarla ( Atene).  Restiamo però, per così dire, in una dimensione terrena, “orizzontale”.

Roma e l’imperatore Ottaviano Augusto: il pater e il diritto di vita e di morte sulla famiglia

Già ai tempi dell’imperatore Ottaviano Augusto, in verità , quando appunto nacque Gesù, si poté assistere ad un cambiamento sostanziale  del rapporto padre/figlio e dell’idea di famiglia.

Se in epoca repubblicana a Roma il padre aveva “ ius vitae necisque”, diritto di vita e di morte su moglie, figli e servi, Augusto intuì nella sua genialità che bisognava ridare valore alla famiglia e al figlio: promulgò infatti la “Lex Iulia de adulteriis” che puniva i celibi e coloro che si sottraevano al dovere di formare una famiglia. Per quanto riguarda invece la potestas di sopprimere il figlio, sembra che sia rimasta in vigore fino al tempo dell’imperatore Costantino (IV sec. d. C.), ma solo teoricamente. I Romani non facilmente erano disponibili ad uccidere i propri bambini e sembra che lo stesso Augusto abbia esercitato il suo diritto in modo “paterno” nei confronti della propria figlia, Giulia, colpevole di vita dissoluta ma non punita con la morte, bensì “solo” con l’esilio. I neonati, comunque non venivano fisicamente uccisi ma abbandonati al proprio destino, qualora il padre non avesse la possibilità di mantenerli.

Il punto di svolta non potrà che darlo il Cristianesimo, grazie al quale cambierà l’immagine del figlio e verrà esaltata e valorizzata la società naturale rappresentata dalla famiglia, in una dimensione non più “orizzontale”, bensì “verticale”.

“Definire” la famiglia? Mission impossible!

Della famiglia non si può dare una definizione in modo secco, si tratta di una realtà così ricca, complessa e profonda che senz’altro richiede almeno una perifrasi o più definizioni  per poterla, in qualche modo, circoscrivere. Esperienza , cultura, amore, biologia, coniugalità, genitorialità, “passare da uno a molti”…certo, tutto serve per cercare di capire cosa sia la famiglia, ma anche bisogna riconoscere che queste espressioni ne garantiscono e sanciscono la mancanza di solidità, l’inconsistenza, fino a quando sono affidate al potere degli esseri umani. Se invece vengono ricondotte ad un ordine sovra-umano, allora la loro dimensione diventerà sacra.

Intanto bisogna pensare che tutto deve rientrare nella logica del “ dovere”, e la paternità ne è l’esempio lampante: il padre è per antonomasia colui che insegna il senso del dovere.

Se pensiamo,poi, che la paternità sia riconducibile al mero dato biologico, ad un fatto esclusivamente genetico, come potremmo darne un valore sacro? Quando diciamo “ Padre nostro” possiamo mai intenderlo come un fatto fisiologico, biologico?

 Per capire in profondità il concetto di paternità, in modo per così dire antifrastico, dobbiamo ancora una volta tornare al tempo degli antichi Romani, quando la pratica dell’esposizione dei neonati non voluti si giustificava, spesso, dal non riconoscimento del fatto biologico di paternità e del fatto ontologico dell’essere il neonato una persona, concetto che resterà ancora sconosciuto per molti secoli. ( leggi il nostro articolo in merito ) Una scelta, quella dell’esposizione, per la quale nel nostro tempo chiunque inorridisce.

Il Cristianesimo e la “rivoluzione copernicana” del valore della famiglia

Per gli antichi le parole avevano una pregnanza che oggi talvolta sfugge: lo stesso termine matrimonio è etimologicamente connesso con “ matris- munus “, compito, dovere di maternità.
L’uomo e la donna ricevono questo munus, questo dono, direttamente da Dio Padre, al quale guardano per capire come portarlo a termine nel modo più perfetto possibile pur nella loro imperfezione. Padre e madre ricevono il compito, ciascuno secondo le proprie peculiarità, di amare, proteggere, educare, servire, il dono del figlio.

Essere padre, essere madre: il dono

Il padre, in particolare, non è grande solo per ciò che fa ma soprattutto per ciò che è:” ex abundantia cordis os loquitur “ ( Luca, 6,45). Il padre non può essere definito, cioè circoscritto dalla sua professione, dal danaro che possiede, dallo sport che pratica… Sarà il cuore a definirlo, a rendere evidente la ricchezza e la personalità, “ dall’abbondanza  del suo cuore la bocca parla”.

 La paternità, perciò, non è solo un dato biologico, psicologico, legale, sociale…prende la sua potenza dal dato divino, dal Padre, e ha uno scopo sacro: in unione con la donna, madre, genera la famiglia, comunità insostituibile, della quale nessun surrogato mai potrà prendere il posto. 

“ Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio e lo siamo realmente!” ( Gv, 3,1)

La famiglia come luogo di santità

Uomo e donna sono diversi, complementari ma non sostituibili e nemmeno intercambiabili. Così come la famiglia, capace di dominare sul male per affermare la propria santità in senso morale. “(…) decisiva è la responsabilità della famiglia, (che) scaturisce dalla sua stessa natura – quella di essere comunità di vita e di amore, fondata sul matrimonio- e dalla sua missione di “ custodire, rivelare e comunicare l’amore di Dio”, del quale i genitori sono costituiti collaboratori e quasi interpreti nel trasmettere la vita e nell’ educarla secondo il Suo progetto di Padre”. ( Lettera enciclica “ Evangelium vitae” di San Giovanni Paolo II, cap. 92).

Si chiude così il cerchio: ogni volta che l’uomo esercita la paternità, ogni volta che la donna vive la propria maternità, ogni volta che insieme i due realizzano nell’amore la famiglia, trasferiscono sulla terra il modello della Sacra Famiglia, ricevuto in dono da Dio Padre.

 La bellezza terrena di uomo, donna, famiglia, acquista così caratteri di immortalità .

“ L’effimero si candida per l’eternità”.

Alla luce anche di quanto detto, non si può accettare, da cattolici, il ddl Zan, liberticida e distruttore della famiglia e dei ruoli materno e paterno.