Intervista a Radio Maria, nella trasmissione “ Tavolo Pro-life “, alla Professoressa Giulia BovassiDocente di Bioetica presso l’Universidad de Anahuác di Città del Messico e Research Scholar Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (Roma)

Parliamo di Eutanasia, suicidio assistito e cure palliative, considerato il dibattito in corso nel nostro Paese e la votazione in Parlamento in merito. Per capire la questione però dobbiamo fare un passo indietro, e dare una definizione dei termini.

Eutanasia: azione volta a causare la morte della persona attuata da un medico

Suicidio assistito: forma di eutanasia diversa nelle modalità Perché tocca al paziente metterlo in atto

Cure palliative: terapia del dolore, si rifanno alla natura e alla vocazione della medicina. Procedure per alleviare il dolore del paziente.

In un recente articolo di riflessione sul dibattuto ddl sul suicidio assistito a firma centrodestra, apparso sul quotidiano Avvenire a firma dell’Equipe cure palliative del Campus Bio-Medico di Roma, si pone la questione per eccellenza che, al contrario, sta scomparendo dal dibattito: il senso della sofferenza del quale molti fra i sostenitori della legge, tra cui, rammarica dirlo, anche molti cattolici, offrono risposte procedurali ritenendo quelle filosofiche ed esistenziali delle astrazioni lontane dalla realtà.

Le criticità bioetiche, che chiunque abbia un minimo di preparazione sui principi della bioetica personalista applicati in materia di fine vita sa o dovrebbe conoscere, partono da uno dei punti del testo ritenuti punti di forza dai sostenitori, ovvero l’art.3 sulle garanzie dell’accesso alle cure palliative. Senza dubbio lodevole nelle intenzioni, considerando quanto è disattesa e inapplicata l’attuale legge n.38/2010 sulle cure palliative, ma contraddittorio nel contesto del ddl e ciò si spiega molto bene con quanto affermato dall’Equipe palliativisti nel seguente passaggio: “Per questo riteniamo che un percorso tanto complesso non possa essere ridotto a una procedura da attraversare per poi giungere ad atti del tutto estranei alle cure palliative, come il suicidio medicalmente assistito o l’eutanasia”.

Il suicidio, assistito o meno, è un valore?

Una prima evidenza non banale: il testo si propone di disporre quanto stabilito dalla sentenza n.242/2019, ovvero le condizioni di legittimità della richiesta di suicidio assistito le quali, quando presenti, sollevano il personale sanitario dalla responsabilità penale di norma attribuita a coloro che aiutano chi mostra un’intenzionalità suicidiaria. Quindi si tratta di un ddl sul suicidio assistito, come riconosciuto anche dall’Equipe. Ne consegue una prima domanda: il suicidio è un valore? Può considerarsi un bene? Se sì, allora proporre o sostenere simili iniziative risulta coerente con il quadro di valori morali in cui ci si riconosce; al contrario, se la risposta è negativa, allora il testo va rigettato perché, pur disponendo ciò che è stato precedentemente deciso dalla sentenza della Corte, una legge ha un valore simbolico diverso e molto più impattante sotto il profilo sociale, culturale, antropologico.

Si può parlare di responsabilità morale di chi sostiene il ddl suicidio assistito? Perché?

Legiferare in assenza di una legge significa assumersi la responsabilità di incidere pesantemente sulla proliferazione di una “cultura dello scarto” anziché muovere in senso opposto. Legiferare, posto che la morte è un evento di natura esistenziale, non un fatto da amministrare, non è moralmente neutro. Che si dia l’una o l’altra risposta non si potrà non convenire che il principio di indisponibilità e inviolabilità della vita è contraddittorio rispetto all’oggetto del ddl poiché il suicidio in sé, come atto, avviene mediate una disposizione assoluta del proprio corpo, della propria vita considerata un disvalore a determinate condizioni non per forza e non solo patologiche. Darsi la morte è il contrario della libertà e disporre le condizioni per darsi la morte è la morte del diritto che manca di agire a salvaguardia del principio universale di convivenza civile e di porre il limite invalicabile contro atti che offendono irrimediabilmente la dignità della persona, anche quando voluti. Gli uomini, talvolta, orientano in modo errato la loro libertà compiendo un male irreparabile verso se stessi o verso gli altri. Il suicidio rientra in questo scenario. Quindi, o si crede in ciò che afferma l’art.1, ovvero, l’indisponibilità e inviolabilità della vita (considerando, paradossalmente, che al comma 2 dell’art.1 ammettendo atti civili e amministrativi che rientrano nelle disposizioni della presente legge, ovvero il suicidio assistito a determinate condizioni decise da terzi, già viene disatteso) oppure si crede nel suicidio assistito. Ciò, banalmente, per un principio di non contraddizione.

Perché privilegiare e sostenere le cure palliative?

Sempre nel merito di quanto sollevato dell’Equipe, occorre precisare che le cure palliative rappresentano, per eccellenza, l’arte medica proprio per lo spessore umano che rivestono. Vocazione, quella medica, che pratiche come il suicidio assistito corrodono nella sua natura rompendo la già fragile alleanza terapeutica. Non a caso, tra le maggiori problematiche legate alle cure palliative vi è la scarsità di accesso, che è conseguenza di una scarsità di interesse verso il senso di gestire dolore e sofferenza considerato un investimento a perdere. Ciò comporta poche cattedre nelle facoltà di medicina, pochi specialisti, poco personale a disposizione e rara o nulla cultura del sollievo. Inoltre, come ben sottolineato nell’articolo menzionato, la loro efficacia sta nella relazione di fiducia che instaurano tra medico, paziente e famigliari, e nella pianificazione precoce del percorso, perciò non tanto e non solo come alternativa ultima ad un uomo piegato dal suo patimento.

Esiste un momento in cui la vita non conta più nulla? E soprattutto: chi decide quando arriva questo momento?

Appunto: chi ha l’autorità di decidere quando una vita diventa un disvalore al punto che il suicidio, quindi la fine della vita, diventa il “best interest” della persona? Nessuno. Se qualcuno ammettesse questa autorità, la domanda allora sarebbe: con quale criterio questa presunta autorità può definire le condizioni in cui una vita è da ritenersi degna di continuare o terminare? Nessuno, ogni criterio cade contravvenendo al principio di uguaglianza. Ed è quello che sta avvenendo per mano dell’Associazione Luca Coscioni quando afferma che il suicidio assistito deve essere concesso anche a coloro che non possono, per le condizioni in cui versano, darsi il suicidio e per ottenerlo hanno bisogno che sia un altro a ucciderli (eutanasia attiva). A chi, cattolico e/o bioeticista personalista, sostiene il testo in oggetto sorge questa domanda: costoro considerano legittime le condizioni poste per il suicidio assistito dalla Corte e riproposte nella legge? O considerano moralmente sbagliato che alcuni definiscano quando il suicidio diventi un bene possibile per la persona? Se la risposta è che non lo si valuta un bene, ma una necessità data dai fatti, allora si cade nel più grave errore di pensare la realtà come moralmente neutra, dimostrando di ignorare i fondamenti filosofici dell’agire umano e anche del diritto.

Si parla di “ criteri di idoneità” al suicidio assistito, tra questi viene considerata determinante la “ libertà” della persona.

I criteri di idoneità al suicidio assistito (art.2) sono molto deboli sotto il profilo bioetico: chi può determinare quanto è libero un proposito suicidiario considerando le circostanze in cui si forma? Si può parlare del suicidio come di un atto libero, autonomo e consapevole? Rispondere affermativamente implica ignorare gli effetti obnubilanti che dolore e sofferenza hanno su ciascuno di noi, figuriamoci in dato scenario. Sofferenze (che non è sinonimo di dolore) fisiche o psicologiche certamente ritenute intollerabili dal soggetto, ma quali criteri oggettivi misurano l’intollerabilità? Si aggiunga, inoltre, che l’irreversibilità copre una varietà di patologie estremamente ampia con le quali molti convivono con dignità e grande forza e questo, oltre al pendio scivoloso che già apre, quale messaggio trasmette loro? Detto ciò, se un cattolico, un bioeticista personalista, chiunque difenda i principi non negoziabili, propone o appoggia una legge simile significa, sempre in virtù di un principio di non contraddizione, che ritiene aproblematici questi aspetti. Perché la Corte ha invitato il Parlamento a legiferare, il quale resta libero di procedere o meno. Mi auguro che nessuno si faccia promotore di leggi che considera ingiuste, quindi immagino che relatori e sostenitori le ritengano giuste.

Parliamo dei rischi che si assumerebbe il Comitato Nazionale di Valutazione

Un breve cenno merita la questione dell’ex “comitato etico di valutazione” ora “Comitato Nazionale di Valutazione” e la privatizzazione (ulteriore) della morte in quanto non a carico del SSN. Il primo è fortemente criticabile sia in quanto la nomina sarebbe, per ovvie ragioni, politicizzata in un senso o nell’altro (considerando però che nessun esperto cattolico o personalista potrebbe accettare la nomina in quanto contrario di principio alla pratica che dovrebbe valutare), sia perché non è chiaro cosa accadrebbe qualora un membro decidesse di dare parere negativo malgrado la constatazione dei criteri previsti dal ddl. Infine, è apprezzabile che il suicidio assistito non ricada a carico del SSN, ma ciò salva lo Stato, non il suicida, che volendo potrebbe procedere e, in un momento tanto drammatico, lo farebbe a spese proprie malgrado lo stesso Stato gli abbia dato copertura legale per farlo, determinando un panorama di “tante piccole Svizzere” come giustamente evidenziato dall’ex ministro della Sanità Maria Pia Garavaglia su Avvenire lo scorso 10 luglio.

Chiariamo bene la questione del cosiddetto

“ male minore”

Occorre ribadire che il male minore, quando si tratta di un male morale e non materiale, non è mai accettabile. Le circostanze, per quanto gravi, rendono sempre lecito trovare una soluzione buona per combattere un male certo, attuale, impellente, grave, ma non è mai consentito farsi responsabili di un male per contrastarne uno peggiore. In tal senso occorre precisare che il suicidio assistito non è l’alternativa “più etica” all’eutanasia, bensì un male intollerabile e di pari gravità. Non si combatte l’eutanasia, che troverebbe sicuramente il proprio spazio di legittimità anche se venisse approvato il ddl, con un altro male, ma con il bene, anche se è la strada più tortuosa. La perfettibilità di una legge riguarda le gradazioni del bene perseguito e perseguibile, non si applica al male.

Tutto questo è ancor più valido considerando che il Parlamento non è obbligato a legiferare, come ben spiegato in un volume a cura del Network “Ditelo sui tetti” e del “Centro Studi Livatino”intitolato “L’eutanasia non è la soluzione”, dove ai punti 33) e 34) si ribadisce proprio che non è possibile affermare che ormai il Parlamento sarebbe obbligato a introdurre il suicidio assistito in quanto gode di discrezionalità.

E, ancora, al punto 15) afferma che “una legge, un servizio pubblico che proponessero un sostegno al suicidio è come se portassero un sentimento corale della comunità di abbandono verso un malato” proseguendo con la domanda se chi propone simili leggi ne sia cosciente alla quale risponde il punto 16) con il calzante esempio delle campagne dei Radicali per la legalizzazione delle droghe leggere il cui scopo -spiegano gli autori- “era affermare -per il tramite della legalizzazione stessa- che drogarsi sarebbe un bene. Allora, è necessario prestare più attenzione a quale sia la matrice antropologica che genera una certa norma (…) come potrebbe, cioè, condizionare la concezione di noi stessi e della realtà che ci circonda”.

https://www.sabinopaciolla.com/i-cattolici-di-fronte-al-ddl-sul-suicidio-assistito/

https://lanuovabq.it/it/giulia-bovassi

Intervista raccolta da Vittoria Criscuolo

qui il link alla trasmissione a Radio Maria del 20/10/2025