Per gentile concessione della bioeticista Prof. Giulia Bovassi una profonda riflessione sul ddl suicidio assistito
Webinar a porte aperte e/o chiuse, settimane di confronto ininterrotto tra specialisti, associazioni, giuristi, bioeticisti, ecc. hanno sempre visto segnati alcuni punti fermi da parte dei “contestatori” del ddl. Criticitá dalle quali emergeva ottusità strategica, intellettuale e morale non solo nel metodo del ddl (gli errori sono sempre possibili e per mano di tutti) ma nell’approccio al tema, soprattutto alla proposta.
Strategica perché era evidente che il ddl non avrebbe mai visto futuro con le condizioni poste, soprattutto il comitato di valutazione (problematico a dir poco!); la privatizzazione (ulteriore) del suicidio non a carico del SSN, che sarebbe stato attaccato sulla base di un principio di uguaglianza e non discriminazione; la mancanza di garanzie di tutela (obiezione di coscienza) per la libertà degli altri soggetti coinvolti, gli operatori sanitari.
A tutto ciò faccio sommessamente notare che fin da subito avevo posto l’interrogativo se, a maggior ragione considerando la non obbligatorietà per il Parlamento di legiferare e la presenza di alternative (due aspetti ripetutamente negati dai sostenitori), all’ipotetica, futura, apertura eutanasica o comunque estensiva della 242 della Corte si sarebbe giunti al paradosso di dar seguito -per coerenza con le ragioni del ddl- anche a questo. Avevo posto anche l’esempio della surrogata: se un domani il rischio di una legalizzazione avrebbe avuto, in situazioni esasperanti come quelle attuali, la controproposta di una legalizzazione morbida e parziale solo nelle condizioni di surrogazione altruistica. Questo renderebbe la surrogazione giusta e questa risposta un male tollerabile? Il male è tollerabile? Se Sí, allora ciò si applica a tutto e così facendo cade ogni cosa.
Un paradosso considerando che viene data come motivazione forte l’urgenza morale e strategica del ddl per arginare derive considerate peggiori, ossia quelle eutanasiche dell’opposizione (approfondiremo molto in futuri contributi la veridicità di questa affermazione…). Ora, come volevasi dimostrare, si parla di aperture alla luce dell’ultima sentenza n.132.
Intellettuale e morale sono stati già spiegati abbondantemente qui e nei contributi pubblicati, ma verranno ripresi a breve in nuovi articoli. Basti considerare comunque che il problema sostanziale, ovvero se il suicidio è un valore e se non lo è come giustificare la promozione e il supporto ad una legge moralmente ingiusta, ci troviamo davanti allo scenario per cui gli stessi sono contrari -giustamente- alla legge 219, di sfondo alla sentenza 242, su cui si basa il ddl, che appoggiano e definiscono necessario nella sua formulazione che già ora sta lottando contro le criticità oggettive rinvenute dagli accademici, bioeticisti e giuristi declassati ad astratti pensatori inutili.
Pare evidente il cortocircuito nel quale si trovano costoro per aver appoggiato un ddl immorale che ha per oggetto un problema bioetico dagli stessi considerato tale e combattuto a livello regionale e/o in altre sedi. Ancor più grave questa pressione per un sostegno acritico del ddl nella sua formulazione (piena di criticità) e nel metodo (esperti costituzionalisti, penalisti, magistrati e filosofi del diritto continuano a far presente le alternative).
In tutto ciò, rimane una questione fondamentale: dietro alla strategia politica vi sono persone esauste della vita a tal punto da chiedere di essere aiutate a uccidersi, gesto che di norma ottiene come risposta contraria dalla società civile la quale tende una mano, magari mette a rischio la propria incolumità per salvarli da se stessi.
Un appoggio a tutto questo è giusto? Non strategico, non utile, non necessario, ma giusto? La giustizia risponde al bene. Torna la mia domanda dí sempre: è un bene? No. È il maggior bene possibile? No. Chi ha un minimo di preparazione bioetica e morale, sa cosa accade nella prassi clinica, sa anche che tanto il suicidio assistito tanto l’eutanasia, di pari gravità sotto il profilo morale, sono espressione di una visione individualista, materialista e nichilista. Sono l’uscita ideologica dal mistero della morte, inaccettabile per la società algofobica. Sa anche che paternalismo medico, accanimento terapeutico (distanasia), abbandono terapeutico si evitano grazie ad una buona prassi clinica, osservante delle norme deontologiche laiche e universali che hanno tra i loro obblighi principali quelli di non nuocere. Sa anche che il dolore oggi è assolutamente gestibile, ragion per cui una cultura della vulnerabilità è necessaria, ma non trova alcuna risposta nel suicidio assistito e/o nell’eutanasia. La buona e proporzionata prassi clinica esclude a priori gli eccessi, riconosce nella morte un limite invalicabile e chiede il consolidarsi di una cultura palliativa (come fatto notare dai palliativisti). Resta la solitudine degli uomini di un’epoca secolarizzata, senza speranza.
Il pendio scivoloso è stato aperto anni fa, certo, ciò non significa che normarlo -con tutto quello che ne deriva a cui già stiamo assistendo- sia moralmente doveroso e giusto. Ma comprendo anche che se questi ragionamenti, accademici, filosofici ed etici vengono letti come “la nuvoletta in cui stanno gli intellettuali” allora viene facile ignorare la natura del diritto, le basi del discernimento morale, la sapienza teologica del Magistero. Occorre mantenere un’onestà di principio, non di convenienza.
- Aggiungo: Proporre o promuovere un ddl sul suicidio assistito rientra nella collaborazione formale al male?
Dal Catechismo della C.C. n. 1733: «quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c’è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia». Quando l’uomo sceglie volontariamente è responsabile sia di una scelta buona sia di una scelta per il male. Tutto questo è ancor più valido considerando che il Parlamento non è obbligato a legiferare, come ben spiegato, oltre che da Alfredo Mantovano nel testo già citato, in un volume a cura del Network “Ditelo sui tetti” e del “Centro Studi
Livatino” intitolato “L’eutanasia non è la soluzione”, dove ai punti 33) e 34) si ribadisce proprio che non è possibile affermare che ormai il Parlamento sarebbe obbligato a introdurre il suicidio assistito in quanto gode di discrezionalità.
E, ancora, al punto 15) afferma che “una legge, un servizio pubblico che proponessero un sostegno al suicidio è come se portassero un sentimento corale della comunità di abbandono verso un malato”proseguendo con la domanda se chi propone simili leggi ne sia cosciente alla quale risponde il punto 16) con il calzante esempio delle campagne dei Radicali per la legalizzazione delle droghe leggere il
cui scopo -spiegano gli autori- “era affermare -per il tramite della legalizzazione stessa- che drogarsi sarebbe un bene. Allora, è necessario prestare più attenzione a quale sia la matrice antropologica che genera una certa norma (…) come potrebbe, cioè, condizionare la concezione di noi stessi e della realtà che ci circonda”.
Prof. Giulia Bovassi
Per approfondire:
https://lanuovabq.it/it/suicidio-assistito-un-ddl-pieno-di-contraddizioni