In principio era l’udito

Già dagli anni ’60 il dott. Alfred Tomatìs nel suo libro “L’orecchio e la vita” evidenziò come:

…l’orecchio sia il primo organo ad organizzarsi completamente nella vita intrauterina e comincia a elaborare le radici dell’ascolto e della comunicazione. Questo perché la comunicazione sonora è la forma più importante di tutti i contatti che la madre intrattiene con il bambino in lei. Dalla voce materna, in particolare, ricava tutta la sua sostanza affettiva.
Si instaura così la comunicazione audiovocale primordiale. Quando il circuito si stabilisce perfettamente, l’embrione attinge da questo dialogo permanente un senso di sicurezza che gli garantisce una crescita armoniosa.”

(Alfred. A. Tomatis, L’orecchio e la vita)

Sullo stesso tema dell’ascolto, si espresse, in modo suggestivo, anche  il famoso scienziato israeliano Moshe Feldenkrais, nel suo libro “Il caso di Nora”:

Questa insistenza nell’attribuire al feto questa facoltà mi sta particolarmente a cuore in quanto corrisponde ad una mia convinzione profonda: e cioè che fin dall’inizio l’ascolto sollecita l’uomo nella sua evoluzione ontogenetica e nel compimento del suo ciclo umano.

Se le nostre indagini ci hanno rivelato che il feto non solo sente, ma sa anche ascoltare e quindi integrare, esse ci hanno ugualmente permesso di constatare che l’embrione, a partire dal secondo mese della vita intrauterina, è in grado di fissare una traccia delle informazioni a livello dei nuclei vestibolo-cocleari. Si assiste così alla nascita di una memoria primordiale che verrà ulteriormente diffusa nel sistema nervoso a mano a mano che quest’ultimo proseguirà nella sua evoluzione, molto più tardiva di quella dell’organo uditivo. E’ in questo modo che il feto, entità effettiva sul piano dell’ascolto, viene a nascere, lasciando intravedere un processo di preparazione delle strutture che formano l’essere umano, già implicitamente vivo e vibrante fin dal momento della concezione.”

Nel feto l’udito, le innervazioni dell’orecchio sono stimolate dall’esterno, allo stesso modo in cui continueranno ad esserlo dopo la nascita. E’ ragionevole pensare che l’udito sia antecedente alla vista. Il neonato è tutto udito. Tuttavia, la sua esperienza iniziale del mondo che lo circonda è anzitutto tattile cinestesica, e solo in un secondo tempo uditiva… Il bambino piccolo passa i suoi primi anni a imparare a vedere, a camminare, a parlare. .. La memoria del bambino piccolo, la sua capacità di imitare tutto ciò che ode e di apprendere una seconda lingua sono considerevolmente migliori durante lo stadio uditivo che non più avanti, quando la vista assume una funzione più importante… L’udire rende la visione più concreta e più facile da ricordare, e perciò anche più facile da capire…

 

Finché c’è fede c’è speranza

Dal Vangelo di Giovanni Gv 1,1-18 “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” In principio era il Verbo che in greco è Logos, “parola” e Gesù, infatti, è la parola di Dio. Gesù è dunque il Verbo che si è fatto carne, morto e risorto per testimoniare l’Amore di Dio al mondo, perdonando i nostri peccati per condurci al Padre.

Gianfranco Ravasi, nel suo libro “Ritorno alle virtù” parlando della speranza ci ricorda che:

” … la speranza è tornata di moda al centro della ricerca filosofica e teologica proprio nel Novecento, quando le due guerre mondiali, l’Olocausto, la caduta dei valori e delle ideologie avevano ridotto l’umanità ad appiattirsi nella polvere della terra, come Gerusalemme di Isaia: “Prostrata, tu parli da terra, dalla polvere salgono fioche le tue parole; pare di un fantasma la tua voce dalla terra e dalla polvere come un bisbiglio risuona la tua parola.”

Nella poesia fu Charles Péguy a parlare di speranza. “Speranza” da Il portico del mistero della seconda virtù (la poesia intera qui)

La fede non mi stupisce

Non è stupefacente

Risplendo talmente nella mia creazione.

Nel sole e nella luna e nelle stelle.

In tutte le mie creature…

La carità va da sé. Per amare il prossimo c’è solo da lasciarsi andare, c’è solo da guardare una simile desolazione. Per non amare il prossimo bisognerebbe farsi violenza, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male. Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Riprendersi. La carità è tutta naturale, tutta zampillante, tutta semplice, tutta alla buona. E’ il primo movimento del cuore. E’ il primo movimento che è quello buono. La carità è una madre e una sorella…

Per non amare il prossimo, bambina, bisognerebbe tapparsi

gli occhi e gli orecchi.

A tante grida di desolazione…

Ma la speranza, dice Dio, ecco quello che mi stupisce.

Me stesso.

Questo è stupefacente…

In filosofia, ne parlò Ernst Bloch che pubblicò tra il 1954 e il 1959 “Il principio speranza” in cui suggerisce di unire le prime due virtù in questo modo “Finché c’è fede c’è speranza”:

E’ indubbio, infatti,che la carica dinamica del credere nella trascendenza fa trascendere al fedele il male presente, conducendolo verso un oltre di giustificazione, di attesa e di liberazione…Vivere nella speranza significa quindi, secondo il pensiero di Bloch, collocarsi tra “il già e non ancora”, tenendo i piedi piantati nella storia, aggrovigliati alle remore del presente ma con la testa e le mani protese verso l’alto, nella certezza che il futuro non è necessariamente un passato reiterato e riciclato, ma può essere un orizzonte inedito e sorprendente…

La speranza ritorna, così, a far fremere un mondo affaticato, paralitico e deluso, ed è la stessa trama ideale della Bibbia, il referente capitale della fede e della cultura dell’Occidente, a costringerci a questa torsione verso il futuro…

La speranza, però, non è rassegnazione, contrariamente a quanto riteneva lo scrittore francese Albert Camus nella sua opera Nozze del 1945.”La speranza, all’opposto di quanto si crede, equivale alla rassegnazione. E vivere non è rassegnarsi.” In realtà, la parabola evangelica indirizza verso il vero approdo ultimo della speranza teologale che è escatologico, ossia teso verso un oltre trascendente. Nella storia l’unico attore non è solo l’uomo. C’è anche Dio che vuole condurre tutti e tutto verso una meta estrema conclusiva, raffigurata dalla mietitura…

Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie… Io spero nella tua parola.” (Salmo 37, 7; 119, 81)

Sia fatta di vero “ascolto” la nostra Pasqua 2021

Il fatto che l’udito sia stato fin dall’antichità il primo senso indispensabile alla sopravvivenza e il primo senso a svilupparsi in grembo, ci fa riflettere sull’importanza di questo meraviglioso strumento del corpo, così importante non solo quindi per la musica e l’acquisizione del senso del ritmo ma per entrare in reale comunicazione con l’altro. “Parla, ti ascolto!” è l’invito di chi nella comunicazione interpersonale vuole conoscere, ascoltare, comprendere, condividere empaticamente. “Ciao, dimmi pure!” è l’invito ad esprimersi che rivolgiamo anche noi a chi cerca un contatto nella chat di questo sito.

C’è nel suono fatto di aria, in vibrazione ondulare di onde sonore, un’analogia di significato che va al di là dell’aspetto meramente biologico e fisico e che rimanda al trascendere l’umano, protesi verso l’ascolto di una dimensione altra. Solo nel silenzio del raccoglimento, ad occhi chiusi, si può tendere l’orecchio per ascoltare lo Spirito che viene, anche se, con l’età, non distinguiamo più bene le voci del mondo.

Come Elia, che sale al monte per cercare un segno di Dio e, nel silenzio, si mette in ascolto finché non lo percepisce nella “brezza leggera”, così anche noi smarriti, non sapendo più che scelte fare, possiamo seguire Gesù per trovare le risposte del vivere.

Come dopo le due guerre mondiali, l’uomo tornò a sentire il richiamo della speranza, anche oggi in questa epidemia, guerra globale contro un virus, l’uomo, che è stato costretto a fermarsi letteralmente per lunghi mesi, può tornare a sperare in una pienezza di vita non solo materiale ma anche spirituale.

La paura e il dolore hanno trafitto l’umanità ma la Pasqua è alle porte per farci tornare a sperare nella grande promessa di Gesù: “Perché siate anche voi dove sono io” (Gv. 14: 1-6). Il dolore, infatti, non è mai fine a se stesso ma è un cammino che ci porta alla conoscenza di Gesù Figlio e di Dio Padre Nostro, la Bellezza per noi, da sempre e per sempre.

Buona Pasqua a tutti i nostri amici lettori e a tutte le donne che ci chiedono aiuto, alle loro famiglie, che sia una Santa Pasqua di speranza e di rinascita dietro la guida di Gesù: Via, Verità e Vita. (Gv 14, 6)