Aborto spontaneo: dopo la perdita di un bambino, è possibile ritrovare la serenità?

I dati Istat ci confermano da tempo che l’aborto spontaneo coinvolge centinaia di donne ogni anno, in tutta Italia. Tuttavia, al giorno d’oggi, accade spesso che situazioni e sentimenti molto comuni, che interessano centinaia di persone e che sono anche confermati dai dati statistici, siano taciuti non solo dai mass media ma anche da chi ci vive accanto o da chi, per esperienza e professionalità, dovrebbe aiutare ad affrontare nel modo migliore queste situazioni ed i relativi stati d’animo.

È il caso, ad esempio, del dolore del post aborto. Abbiamo più volte in questa sede affrontato il dolore legato ad un aborto volontario. Tuttavia, oggi ci viene data la possibilità di riflettere sul dolore legato ad un aborto spontaneo.
Questa importante riflessione ci viene offerta dall’esperienza e dal libro della Dottoressa Fabrizia Perrachon: laureata in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Torino, ha lavorato per importanti multinazionali. È moglie e mamma e attualmente collabora con il blog matrimoniocristiano.org.

Oggi l’abbiamo intervistata per farci raccontare la sua esperienza.

Buon giorno Fabrizia, abbiamo saputo che hai scritto un libro che parla di aborto spontaneo: vuoi dirci qualcosa in più?

Buongiorno, sì, ho scritto un libro dal titolo “Se il Chicco di frumento – storia vera di speranza oltre la morte prenatale, nel quale racconto l’esperienza di aborto spontaneo che ho vissuto con mio marito nel 2012 ma non solo: partendo da questo episodio così doloroso avanzo una serie di proposte concrete affinché in Italia cresca e si alimenti quella che ho definito la “cultura prenatale” ossia un dibattito serio e costruttivo attorno a questo argomento, di cui quasi non si parla.

In effetti non si sentono spesso dibattiti o pubblicazioni in merito; secondo te da cosa dipende questa mancanza?

C’è una carenza di fondo, alimentata da più fattori: sicuramente, subito dopo un’esperienza simile, le mamme e le coppie in generale sono travolte dal dolore e tendono a chiudersi in se stesse. Pertanto risulta difficile parlarne anche solo a voce o con i propri familiari ed amici.

Tuttavia, mi permetto di avanzare anche un’altra motivazione: la Legge 194/78 sull’aborto volontario ha creato una cultura parallela, contraria alla vita nascente, cultura che ha sbiadito la figura del bambino appena concepito, come se non esistesse finchè non è nato vivo.

Cosi’ troviamo, proprio accanto alle mamme che vivono il dolore di un aborto spontaneo, una serie di persone che minimizzano quanto avvenuto, spesso rimproverando le mamme di essere troppo esagerate e invitandole a consolarsi presto e a non pensarci più.

A te è successa una cosa del genere?

Ne parlo brevemente nel libro: non ho voluto soffermarmi troppo perchè ritengo sia piu’ importante focalizzare l’attenzione su quanto si possa creare e costruire di positivo, piuttosto che sulla mia esperienza negativa.
Ad ogni modo, sì, io, subito dopo l’intervento di raschiamento, chiesi spiegazioni sui resti del mio piccolo, dove si trovavano e che cosa avrei potuto fare e mi risposero di non preoccuparmi: l’intervento era andato bene e gli esami effettuati non avevano riscontrato alcun problema riguardo alla mia salute generale…
Questo mi ha fatto capire che anche la mia salute fisica era importante, tuttavia sono riuscita a ritrovare il sorriso e la speranza solo grazie alla preghiera ed alla Fede…

La speranza fa parte del tuo libro fin dal titolo: spiegaci meglio

Questa virtù teologale è al centro del mio scritto ma non solo: come tale dovrebbe essere la ragione per cui cerchiamo di fare qualcosa di bello nella vita, per noi stessi e per gli altri.

Con questo libro vorrei offrire non solo la mia testimonianza di vita ma anche la possibilità di ritrovare il sorriso dopo un evento cosi’ tragico alle mamme che hanno vissuto questo dolore: vorrei ricordare, soprattutto alle donne, che questa sofferenza non cancella la vera natura del nostro essere, noi restiamo sempre mamme ed i nostri piccoli sono sempre i nostri figli, anche se sono già volati in Cielo…
Noi tutti, inoltre, siamo chiamati a guardare ai bambini non nati in modo diverso: non sono solo piccoli, sono soprattutto creature fatte ad immagine e somiglianza del Creatore e ne portano impresso il sigillo più alto e grandioso: sono persone! Come tali hanno un’anima e una dignità da salvaguardare e con la quale relazionarsi.

La dignità del bimbo non ancora nato!

Da questa dignità scaturisce la necessità del loro seppellimento, indipendentemente dal fatto che siano volati in Cielo all’inizio o alla fine della gravidanza. Già l’esperienza dell’aborto spontaneo è umanamente traumatica, se poi manca la sepoltura del proprio piccolo, il lutto è molto più difficile elaborare e quindi da superare.

L’Associazione Difendere la Vita con Maria

In Italia esiste da 25 anni l’Associazione Difendere la vita con Maria, di cui mio marito ed io siamo membri, che si occupa di stipulare convenzioni con le strutture sanitarie, al fine di effettuare il seppellimento di tutti i bambini non nati (sia per aborto spontaneo sia per aborto volontario).
Dove l’associazione stipula queste convenzioni (sempre a norma di legge e seguendo le necessarie norme igienico-sanitarie) non sono previsti costi economici nè per le famiglie nè per la struttura stessa che firma la convenzione.
Tutti i costi sono a carico dell’associazione (che vive di offerte libere dei suoi associati) e le famiglie che affrontano il dolore di un aborto spontaneo possono visitare il loro piccolo in un’area dedicata del camposanto.
Tuttavia, non tutti gli ospedali decidono di stipulare la convenzione e cosi’, chi si trova ad affrontare un aborto spontaneo non solo non puo’ vedere seppellito il proprio piccolo ma non viene nemmeno informato di questa possibilità di scelta.
Ecco, con questo libro vorrei offrire a tutte le famiglie che hanno vissuto questa sofferenza uno sguardo nuovo sulla loro vicenda, uno sguardo di speranza. E’ infatti possibile cambiare la nostra mentalità e il nostro sguardo sui nostri bambini non nati, creare una nuova attenzione e una nuova sensibilità, a partire prima di tutto da noi stessi e poi da chi ci sta intorno e ci vive accanto, perchè nessuna famiglia si senta piu’ sola e abbandonata nel proprio dolore…

Come dice il detto popolare, insomma, “la speranza è l’ultima a morire” …

Proprio cosi! Vorrei testimoniare che, con l’aiuto della Fede, il dolore e le prove non hanno l’ultima parola e che anche la perdita di queste creature non è mai definitiva perché come ha detto Chiara Corbella Petrillo: “Siamo nati e non moriremo mai più”.

Il libro della Dott.ssa Fabrizia Perrachon puo’ essere ordinato online presso Tau Editrice al seguente link:
A cura di Susanna Primavera