Il Mese per la Vita in questo mese di febbraio ha presentato a Varese tre film imperdibili per giovani e famiglie che lasciano dietro di sé un segno di grande umanità.

“La mia seconda volta” di Alberto Gelpi

Questo primo film del 2019 sul tema del rischio della droga in gioventù, racconta la storia vera di Giorgia Benusiglio, andata in coma a 18 anni per una mezza pasticca di ecstasy presa per gioco e che si è poi salvata grazie al trapianto di fegato di un’amica. Il tema della droga è drammaticamente attuale, gli attori sono giovani brillanti come Aurora Ruffino (Braccialetti rossi), Simone Riccioni (E fu sera e fu mattina) e Mariachiara Demitri proprio nel ruolo di Giorgia. Il film aderisce al progetto Cineducando in cui innumerevoli scuole d’Italia hanno potuto visionare il film dopo aver ascoltato Giorgia Benusiglio a scuola.

Nella trama del film, Giorgia è una ragazza vivace, determinata, molto creativa e intraprendente che frequenta l’ultimo anno del liceo artistico e non vede l’ora di “buttarsi nella vita” per fare esperienza in prima persona, per misurarsi con la realtà al di fuori della scuola. Giorgia si sente sicura di sé, o meglio vorrebbe esserlo, come lo è per esempio Ludovica, una sua amica poco più grande di lei, ai suoi occhi spregiudicata e disinvolta, ricca di esperienze di vita toste alle spalle che l’hanno resa di certo sicura e affascinante. Un giorno Giorgia si sente più forte e bella che mai, e soprattutto sicura abbastanza per affrontare la vita da sola e decide di andare incontro al suo destino…

Alcune atmosfere rarefatte, ambientate lungo un fiume in mezzo ad una carovana di girovaghi, rendono molto bene i desideri e i sogni della gioventù, impregnati di romanticismo e di illusioni. Il desiderio di trovare se stessi, in una ricerca appassionata di senso e di amore li spinge con curiosità ed entusiasmo verso la vita. Giorgia incontra un ragazzo in rete e iniziano a frequentarsi. Ella s’innamora ben presto di questo giovanotto interessante, più grande di lei ed entrambi, una sera, si lasciano andare al gioco della musica, del ballo, del bere e della droga, sottovalutandone i rischi e, di fatto, scherzando inconsapevoli, con la vita.

Il film trasmette due messaggi forti ai giovani; il primo è che qualunque sbaglio si possa fare o aver fatto nella propria vita, ci sarà sempre una seconda possibilità. Uno spazio speciale infatti viene dato al Kintsugi, l’arte giapponese del rimettere insieme i pezzi di un oggetto rotto, utilizzando una colla particolare dal colore “oro”. Dalla ricomposizione dell’oggetto che in questo modo “rinasce” a nuova vita, emerge non solo una nuova possibilità ma anche una nuova bellezza, che la creatività dell’arte riesce a realizzare.

Il Kintsugi assomiglia un poco all’arte del sapersi ricomporre e ricostruire interiormente dopo un errore, una sconfitta, una perdita, un dolore. L’analogia con il concetto di Resilienza è inevitabile ed è evidente anche nel film.

Il secondo messaggio è racchiuso nell’ultima scena del film quando la vera Giorgia raccontando la sua storia, si rivolge ai ragazzi della scuola affinché diventino “consapevoli” dei pericoli nascosti nelle dipendenze e non affrontino più con leggerezza alcol e droga. La consapevolezza infatti previene i rischi di scelte pericolose.

Ricordiamo che oggi in Italia il 33, 6 % degli studenti (circa 870.000 ragazzi) ha utilizzato almeno una sostanza psicoattiva illegale nel corso della propria vita e che il 78% di chi ha preso sostanze non sapeva cosa fossero ed era anche all’oscuro degli effetti che avrebbero provocato (Relazione al Parlamento sui dati relativi sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, dati 2017)

“Coco” di Pixar Animations Studios

In questo film animato talmente allegro e vivace, pieno del ritmo musicale messicano e di effetti speciali, del resto una pellicola che è stata giustamente super premiata, tutto ci si aspetterebbe tranne che di commuoversi per la poesia delle relazioni familiari, spesso molto difficili e costellate di allontanamenti, chiusure e tradimenti ma alla fine trionfanti. E’ vero che non è il primo film su un tema difficile, come la vita e la morte, che Pixar Animations Studios affronta e basta ricordare la dolce e toccante storia di Up del 2009 sull’amore di una coppia nel tempo che passa, i sentimenti e la memoria di una vita insieme.

In questo splendido film, il protagonista è Coco, un ragazzino che adora la musica mentre tutta la sua famiglia non la può sopportare. Nel giorno dei morti in cui le anime dei trapassati possono tornare per poco tra i propri cari, sia pure in forma invisibile, Coco si ritrova nell’Al di là, un mondo fantastico sospeso nel vuoto ma del tutto simile al nostro. E’ lì che il ragazzino troverà la conferma alla sua vocazione musicale grazie all’incontro con un suo antenato dal quale scoprirà la verità della sua famiglia. Il messaggio del film riguarda l’importanza degli affetti familiari che riempiono di senso la vita dei figli; infatti, gli affetti e l’educazione alla fede nella memoria dei propri cari rappresentano la trama su cui si struttura la vita di un figlio.

Continuità della coscienza, anima e mistero sono temi che ci colpiscono non solo per il ricordo di coloro che abbiamo amato e che ci hanno lasciato ma per il destino di ciascuno di noi che desideriamo splendente e senza fine. Impossibile non fare riferimento a Scienza e Vita e al suo richiamo alle cure palliative, al fine vita e alla dignità dell’uomo sempre, al suo essere immagine del Creatore anche nell’ultimo tramandare la saggezza di vita appresa, al rispetto che si deve ad ogni anima perché ogni uomo che muore è una grande perdita per il mondo intero. Il suo Seminario del 20 febbraio a Roma s’intitola “Ricordati di me, oltre la fine che verrà“!

“Pane del cielo” di Giovanni Bedeschi

“Pane del cielo” del 2019, film indipendente realizzato in Crowdfunding, presenta due attori superbi come Donatella Bartoli nel ruolo di Lili e Sergio Leone in quello di Annibale, due senzatetto che il giorno di Natale salvano un bambino abbandonato in un cassonetto. Portandolo in ospedale per le prime cure, scoprono che il bambino è invisibile al personale ma anche ai passanti per strada e ne rimangono sconvolti. La storia inizia così e la metafora è già chiara da subito: soltanto chi ha il cuore buono potremmo dire, è in grado di vedere il Bambino!

Questo film nasce dall’attività di volontariato del regista Giovanni Bedeschi presso l’Opera San Francesco di Milano; egli è uno dei 1000 volontari che ogni giorno distribuiscono pasti, accolgono per le docce, il cambio d’abito… Il bilancio del 2018 dell’Opera San Francesco è impressionante con i suoi 712.268 pasti, 57.517 ingressi alle docce, 9.132 cambi d’abito, 36.298 visite mediche

Bedeschi racconta che durante questa attività di volontariato egli ha potuto incontrare diverse persone, amici che hanno perso tutto e si erano ritrovati in strada perché può capitare più facilmente di quanto non sembri di perdere tutto e di rimanere soli, senza mezzi, per le ragioni più svariate. Da qui il desiderio di raccontare attraverso una favola moderna la storia dei senzatetto, dei vagabondi senza più famiglia e tremendamente soli.

Ho notato profonde affinità con “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders sul tema dello sguardo rivolto all’Invisibile; là erano gli angeli che soltanto i bambini riuscivano a vedere, in questo film invece sono solo gli uomini di cuore, gli ultimi, che “vedono” oltre..

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La poesia è presente in entrambi i film;  in questo film i versi sono di Ada Merini:

Siamo poeti poveri

Siamo poeti poveri, fatti di vesti pesanti
e intime calure di bosco.
Siamo contadini che portano la terra a Venere.
Siamo usurai pieni di croci.
Siamo conventi che non danno sangue.
Siamo una fede senza profeti…
ma siamo poeti,
soli come le bestie,
buttati per tutti i fanghi
senza una casa libera
né un sasso per sentimento.
E tutti noi costretti dentro,
le ombre del vino,
non abbiam parole né potere
per invogliare gli altri avventori.
Siamo osti senza domande,
riceviamo tutti solo che…abbiano un cuore!!!